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I boschi misteriosi della poesia

I boschi misteriosi della poesia

Patrizia Pagnoncelli - Versi che fecondano “la vita con la parola poetica e viceversa”

Benassi Luca Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2008

Le poetesse e i poeti si nascondono nei luoghi più impensati, dietro spazzine e commessi, operai e impiegate pubbliche, casalinghe e pensionati, conducenti di autobus e bigliettaie delle ferrovie. Dietro un passo svelto, due occhi che si incontrano in un vagone della metro, dentro una tazzina di caffé nascono i fermenti, le inquietudini, le gioie, i dolori che si vanno agglutinando in forma di parole, appuntati sui biglietti del tram o dietro le ricevute di una pizzeria, si addensano in poesia, affascinano, stupiscono, addolciscono e danno significato alle nostre giornate. Ci incontriamo nel linguaggio, ci scopriamo nei versi e in essi troviamo ciò che il nostro cuore ho troppe volte vissuto senza riuscire a trovare le parole per esprimerlo. Vivere la poesia, verrebbe da dire, viverla intensamente fecondando la vita con la parola poetica e viceversa. Patrizia Pagnoncelli sembra esserci riuscita attraverso delle scelte, dei modi di vivere che esprimono nel quotidiano “la sostanza celata dietro le parole”, come dice di se stessa. Nella quarta di copertina di “Chiaro e scuro” ( Studio 64 edizioni, Genova 2007), dal quale sono tratti i testi qui pubblicati, si legge: “Patrizia Pagnoncelli nasce il 25 aprile a Roma città amata. Ma con due patrie accanto c’è Parigi. Studi regolari laurea in lingue insegnamento e giornalismo finché non è arrivata la famiglia. Poi la decisione: vivere in campagna fuori dalla pazza folla e ritrovare il proprio io”. A questa scelta di vita estrema e coraggiosa, vissuta nella coerenza dei legami familiari e delle vicende quotidiane, corrisponde una poesia dai caratteri forti e precisi, a volte grezza, ma sempre orientata ad un’onestà comunicativa, ad una fiducia nelle possibilità della parola poetica. Si tratta di un poesia che si abbevera al silenzio del bosco, all’odore seducente e intenso delle zagare, alla bruma che copre le vallate nel primo mattino, allo sboccio dei fiori in primavera, al volo del falco, al carro del sole che scandisce la quiete delle giornate di campagna. Eppure, al di là degli esiti formali, questa poesia non cede mai al bucolico di maniera, al canto frusto del paesaggio, ma nella natura e nelle sue manifestazioni cerca la rivelazione, l’immagine che sappia indagare l’anima, il senso della vita e il suo mistero. I versi cercano la sintesi dell’emozione in una sintassi scarna ed essenziale, impostano il dettato in una verticalità acuminata dove il suono della parola si abbraccia alla pausa, alla riflessione e al silenzio. Scrive Patrizia Pagnoncelli della sua poesia: “tutto è negli spazi vuoti tra una parola e l’altra: emozioni, pensieri, certezze, angosce, rabbia.” Ad una natura felice e prodiga di frutti corrisponde l’avanzata del nulla, il vuoto che ruggisce davanti alla faccia della poetessa, l’offesa della realtà, “[…] l’assalto/ crudo e complice/ del cinismo ottuso”. Ecco allora una poesia che non disdegna la paura e la rabbia, l’esigenza di un palpito civile che si fa denuncia, grido, lacerazione. Chiaro e scuro, felicità e rabbia, speranza in un futuro migliore e paura di un vivere quotidiano nullificante e alieno, silenzio della natura e martellamento cittadino: opposti che muovono questa poesia e costringono l’anima ad interrogarsi, a indagare; oppure a scappare, a rifugiarsi in qualche recesso, nella torre d’avorio della parola scritta, nel messaggio nella bottiglia della poesia. È un’operazione funambolica, ardita e difficile, nella quale si gioca l’essenza della vita e il nostro rapporto con la realtà: “Il funambolo/ corre leggero sul filo teso,/ tramite sospeso/ tra concreto e astratto”.






TESTI


Al di là del vetro appannato

Al di là del vetro appannato
un rumore consueto,
un ansare perenne,
un agitarsi inutile.
La paura mi investe,
mi lusinga,
sottile,
mi spinge
nel disarmonico andare
dell’altro da me.


Addentarsi in un bosco

Nell’alba piovigginosa
penetrare nell’umido scrigno
dell’eternità corposa
d’un ramo discosto
sollecita una percezione
inconscia ma precisa
il rinnovarsi eterno
della natura immortale.
E ti senti inutile
come seme infruttuoso
nella conoscenza tattile
della possanza vegetale.


Zagare

Inebriante
il profumo delle zagare
sa di seducenti
promesse
snervante
la sua intensità
che imprigiona
la mente
in un calesse
magico
ma veloce
come il vento


Una folata di vento

Una folata di vento
improvvisa
sconvolge densa
la realtà racchiusa
è l’anima del buono
che
l’indole recisa
libera il suo sentire
prima recluso
e ora libero
come repentino maroso


(24 giugno 2008)

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