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I “Muri della vergogna” - di Cristina Carpinelli

I “Muri della vergogna” - di Cristina Carpinelli

Grandi celebrazioni per i 20 anni della caduta del muro di Berlino. Ma quante barriere ci sono ancora nel mondo? A Tijuana tra Messico e California, tra India e Pakistan, tra l’Arabia Saudita e lo Yemen, tra il Kuwait e l’Iraq. E molti altri...

Lunedi, 09/11/2009 - Nella notte tra il 12/13 agosto 1961, W. Ulbricht, leader della SED e presidente del Consiglio Nazionale di Difesa della RDT, diede l’ordine di sbarrare la strada che segnava il confine tra i settori Est e Ovest di Berlino. Dopo aver ottenuto pochi giorni prima il benestare dell’URSS, e con il sostegno delle truppe sovietiche stanziate nella RDT, la polizia di frontiera iniziò a sventrare le vie del centro di Berlino. Furono ammucchiati pezzi d’asfalto sino a formare barricate, e costruite recinzioni di filo spinato. Alcuni giorni dopo, nella notte tra il 17/18 agosto, dei lavoratori sostituirono il filo spinato con un muro. Nasceva il Muro di Berlino. Il 24/8/1961, G. Litfin, un sarto di 24 anni, veniva ucciso dalle guardie di frontiera della RDT mentre cercava di fuggire da Berlino Est a Berlino Ovest. Era la prima vittima del Muro. Per 28 anni, il Muro di Berlino era stato il simbolo della guerra fredda, che aveva politicamente diviso il mondo in due emisferi: orientale e occidentale. Più di 100 persone erano morte, tentando di oltrepassare quel Muro abbattuto nel 1989.

Il 9 novembre sono stati celebrati i 20 anni dalla caduta del Muro di Berlino, simbolo d’ostilità, segregazione e incomunicabilità. Tuttavia, caduto quel muro, ne restano in piedi altri: reali, invisibili. Muri che circondano le nostre vite, e che ci dividono in base alle nostre diverse appartenenze. Muri che spezzano famiglie e popoli interi, che frantumano identità, che negano speranze. Muri conosciuti e muri dimenticati. Un ampio elenco. A partire da quello lungo 1.125 km., conosciuto come muro di Tijuana, che copre un terzo del confine tra USA e Messico. Una lamiera metallica, che si snoda per chilometri lungo la frontiera tra Tijuana (Messico) e San Diego (California). E’ stata innalzata contro i cittadini del Centro e Sud America, che cercano di raggiungere gli USA attraverso il confine messicano per sfuggire a fame e miseria provocate dalle politiche che da sempre fanno del Sud del continente il backyard statunitense. Altri tratti di barriera si trovano in Arizona, Nuovo Messico e Texas. Per non parlare della possente muraglia, larga 4 km., eretta dai sud-coreani, che spezza in due la Corea. Questa muraglia è stata creata a partire dal 1977, durante il regime di Pak Chong Hi, sotto la supervisione americana. Si estende per 240 km., la larghezza totale della Corea meno una trentina di km. intorno a Panmunjom. E poi ancora: il muro Malaysia/Thailandia, lungo 27 km., costruito dai thailandesi al confine con la Malaysia, per contrastare l’arrivo di armi destinate alla guerriglia musulmana e separatista a Sud del territorio. Il muro Zimbabwe/Botswana, uno sbarramento elettrificato ufficialmente creato per impedire agli animali selvatici di passare da un paese all’altro. Sorto, in realtà, per evitare che profughi, per sottrarsi ai massacri etnici nello Zimbawe, entrino nel Botswana, una piccola nazione con uno dei redditi più alti dell’Africa. Insomma, un muro che sembra la versione africana del muro di sicurezza d’Israele. E poi, tante piccole “strisce di Gaza”: villaggi delle comunità San ed Herero, tagliati in due o privati delle vie d’accesso all’acqua, dove si verificano di continuo sanguinose guerriglie. Da una parte, gli abitanti dei villaggi che tentano di rimuovere quell’intollerabile barriera, dall’altra, l’esercito del Botswana impegnato a far rispettare la demarcazione del confine. In Asia centrale si trova, invece, un muro, equipaggiato di sensori e videosorveglianza, eretto dall’Uzbekistan per affermare la sovranità su alcuni territori disputati con il Kyrgyzstan. Tra India e Pakistan ce n’è uno di 3.300 km. che divide i due paesi. Il Pakistan ha costruito uno sbarramento di 2.400 km. per controllare la sua frontiera con l’Afghanistan. Mentre il governo iraniano sta portando a termine la costruzione di un muro sul confine con la Repubblica pakistana. Dopo sei anni di duro lavoro è stato inaugurato anche il muro che dividerà India e Bangladesh: una cortina di ferro lunga 4.000 km. Obiettivo: frenare gli immigrati, bloccare i terroristi, i trafficanti di droga e i mercanti d’armi. E che dire del Marocco, attorno alla cui regione del sahrawi si estende per quasi 4.000 km. un grande bastione detto anche “cintura di sicurezza”? La sua funzione è quella di “proteggere” il paese dai tentativi d’infiltrazione del Fronte Polisario nei territori occupati militarmente dal Marocco, e impedire alla popolazione del saharawi di esercitare il suo diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza. Nell’area chiamata Medio Oriente, l’Arabia Saudita non è stata da meno: dal 2003 la separa dallo Yemen una cinta fatta di cemento armato e munita di apparati di controllo elettronico, con lo scopo di bloccare l’immigrazione illegale della popolazione yemenita. Un’altra barriera ultramoderna lunga 900 km. è stata creata dall’Arabia Saudita nel 2006 sulla frontiera con l’Iraq. E poi c’è il muro Kuwait/Iraq. Il Kuwait ha rinforzato il muro, già esistente, lungo 215 km. di frontiera con l’Iraq. E, ancora, la recinzione degli Emirati Arabi Uniti, costruita lungo tutta la linea di confine con il sultanato dell’Oman. I palestinesi della Cisgiordania hanno, dal 2002, la loro barriera di separazione, concretizzazione di un vero e proprio incubo: essere costretti a vivere come topi in villaggi trasformati in lager a cielo aperto, in una sorta di regime di apartheid trapiantato in Medio Oriente. Anche attorno alla Striscia di Gaza vi è una barriera che la circonda completamente. Una storia lunga e sofferta quella del conflitto tra Israele e Palestina, efficacemente resa nel film “Il giardino dei limoni” (2008). Un film che si svolge lungo un reticolato che separa due mondi: quello dove sta la villa del ministro israeliano e quello del giardino dei limoni di proprietà di Salma, la protagonista palestinese. Vi è, infine, il muro che a Cuba divide l’Avana dalla c.d. Tribuna antimperialista, a pochi metri dalla Sezione Interessi Usa. Non è propriamente un muro. Non vi sono i Volkspolizisten della RDT, pronti a sparare su chi cerca di scavalcarlo. E’ solo un grande palazzo dove ha, appunto, sede l’Ufficio degli interessi americani.

Muri ci sono in Europa. Quello fra Turchia e Cipro, edificato 35 anni fa da Ankara per delimitare i territori che rivendica a Cipro. Quelli che dividono protestanti e cattolici in Irlanda. Quando furono eretti (anni ‘70), provocarono la deportazione tra le due zone d’intere famiglie. Tra il Medio Oriente e l’Occidente spicca la barriera elettrificata che la Spagna ha innalzato per sbarrare il passo degli immigrati marocchini o subsahariani. Una barriera doppia, alta da 4 a 6 metri e lunga 9,7 km. intorno alla città di Ceuta e 8,2 km. intorno a quella di Melilla, dove si concentra, appunto, la pressione di milioni di uomini in cammino dall’Africa sub-sahariana.

Ci sono i muri dell’era globale. Muri che cercano di allontanare un’umanità sofferente che preme ai cancelli del benessere occidentale. Muri che raccontano di una politica che ha messo il nostro futuro nelle mani dei teorici delle guerre preventive, dei sostenitori della democrazia da esportare, degli esegeti di un Occidente opulento che deve difendersi da eserciti di senza speranza, da masse di diseredati che cercano di fuggire da realtà insopportabili, da regimi dispotici, da élite al potere che hanno dilapidato, spesso con l’aiuto o il silenzio complice delle cancellerie europee e della superpotenza americana, ricchezze straordinarie. Un muro dell’esclusione era in costruzione (subito abbattuto con picconi, martelli e pale dai residenti del quartiere popolare) su richiesta degli abitanti ricchi del quartiere de La Horqueta (San Isidro) a Buenos Aires. Una barriera, che doveva essere alta tre metri e lunga 270, per difendersi dai poveri, da quelli del barrio della Villa Jardin (San Fernando), e preservare la vita tranquilla del quartiere benestante. Rio de Janeiro ha proposto un murallon anti-favelas, e interi quartieri a Baghdad sono stati divisi da muri eretti per separare sunniti da sciiti. A Veliko Tarnovo (Bulgaria centrale), da alcuni anni mecca degli immobiliaristi britannici, il gruppo israeliano Tidhar ha fondato nella periferia collinosa una “città satellite” di 60.000 mq. dotata di centri commerciali, scuole ecc. A ben vedere, “La zona”, descritta nel film di Rodrigo Plà (2007), pur se “pantografata” nelle dimensioni di una terrificante metafora, non si distanzia poi molto dalle fortificazioni e dall’isolamento di molti quartieri-bene, mondi blindati, sorti come funghi in questi ultimi anni in varie parti del mondo. Nel 1999 nella città di Ústí nad Labem, Boemia settentrionale, era stato eretto un muro alto quasi due metri attorno a due caseggiati abitati prevalentemente da rom. Ma era semplicemente grottesco che sessant’anni dopo l’Olocausto rinascesse un ghetto proprio nel cuore dell’Europa. Benché alcuni abitanti della zona avessero chiesto forme di segregazione anche più rigide, il muro fu abbattuto l’anno seguente. Accanto ai “nuovi ricchi” dell’Europa dell’Est convivono ora i “nuovi poveri”. La libertà rivendicata da un sistema marcio e corrotto fin nelle fondamenta, e conquistata con il crollo del Muro di Berlino, ha tuttavia significato la libertà di privatizzare tutto, provocando un esercito di milioni di miserabili.

Ogni muro ha la sua storia. Ma tutti sono stati eretti su decisione di una sola delle parti interessate, e tutti cementano l’odio. Il “Nuovo Inizio” avrà luogo con la caduta di tutti i muri: materiali, simbolici, ma non per questo meno minacciosi o inquietanti. Comincerà se vi sarà un grande salto di civiltà capace di traghettare l’umanità fuori da questa barbarie e “oltre il capitalismo in crisi”.

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