Randagi - Volentieri riportiamo la riflessione pubblicata su ‘Il Secolo XIX’ del 19 marzo 2009 a proposito dei ‘cani-killer’
Battaglia Luisella Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2009
“Troppa pietà verso i randagi”. Nell’orrore delle notizie di questi giorni, le parole dello scrittore siciliano Vincenzo Consolo risuonano come una condanna senza appello dei cani killer. A suo avviso, episodi come quelli riportati dalle cronache, sono “il segnale di un amore per le bestie francamente eccessivo”. Ma si tratta davvero di troppo amore? E’ difficile sostenere che un animale abbandonato sia stato troppo amato: la realtà, purtroppo, è ben diversa. Maltrattati, affamati, abusati, nutriti delle carcasse dei loro compagni morti, quegli animali sono stati pochissimo amati e ancora meno rispettati. Non si potrebbe immaginare un addestramento più ‘scientifico’ alla violenza e all’aggressività. Conosciamo la storia dei randagi: trattati come oggetti sempre, considerati talora come giocattoli da cuccioli, e poi abbandonati senza pietà da adulti perché fastidiosi, ingestibili, inutili. Solo lo scorso anno nel nostro paese gli abbandoni sono stati più di undicimila. E’ bizzarro che la colpa morale e giuridica all’origine degli ‘assassini’, sia così trascurata da coloro che, come Consolo, dicono no alla difesa a oltranza degli animali. La responsabilità umana qui è innegabile, aggravata, vorrei aggiungere, dalla rottura di quel ‘patto’ che da tempi immemorabili ha unito le nostre specie. Cane e uomo, non dimentichiamolo, sono due facce della stessa medaglia evolutiva , i compagni di una grande avventura millenaria: i loro sensi si completano a vicenda, le loro storie si appartengono e si intrecciano. Se mirabile è la capacità dell’uno di rispondere alle richieste dell’altro, altrettanto portentoso è il talento della razza canina d’interloquire con la nostra. Il dialogo tra le due specie dipende da diverse cause ma, in primo luogo, come ci insegnano gli etologi, dalla forte intelligenza sociale che caratterizza entrambe. Immersi nel mondo in modo differente, uomo e cane possono monitorare la realtà con competenze integrate e, quindi, con maggiore efficacia: l’uno come virtuoso della vista, l’altro come maestro dell’olfatto.
Sennonché la domesticazione è anche responsabilità, non può essere solo sfruttamento e vantaggio. Sono riflessioni che vengono alla mente oggi che non solo quell’antico patto si è rotto ma si assiste alla regressione dei nostri compagni. I nuovi branchi, nati dagli abbandoni, hanno come protagonisti i randagi di seconda e terza generazione che non hanno mai conosciuto l’uomo, ne hanno paura, sono irritabili in quanto non hanno dimestichezza con la nostra specie. E’ così che il cane da amico rischia di diventare il nemico da battere. Ma la sua metamorfosi o, per meglio dire, il suo imbestiamento è nostra colpa esclusiva. L’uomo al quale i cani erano stato affidati è stato accusato di maltrattamenti, omessa custodia, concorso in omicidio colposo. Ma ci sono anche le correità di chi non ha utilizzato i fondi stanziati per la lotta contro il randagismo -che dovrebbe prevedere un piano straordinario di sterilizzazione e la fine dei canili lager fonti di speculazione- e di chi non ha accertato l’idoneità, la competenza e la serietà di coloro che li hanno avuti in custodia. Siamo lontani anni luce dall’idea espressa dal grande storico francese dell’Ottocento, Jules Michelet, di una domesticazione nuova, di segno totalmente diverso, nel senso dell’elevazione e non dell’abbrutimento del regno animale. Cruciale era, nella sua visione, il richiamo alla responsabilità dell’uomo da lui definito ‘il Solone della Creazione’.”L’arte della domesticazione, scriveva, non avrà il necessario sviluppo se ci si preoccuperà soltanto dell’utilità che l’uomo ritrae dagli animali domestici e non principalmente dell’utilità che gli animali possono ritrarre dall’uomo”.
Siamo bravissimi a porre le pietre di confine tra noi e le bestie, a definire ‘assassini’ animali innocenti che sono stati da noi resi tali. Scarichiamo sulle altre specie la violenza che è in noi, la scateniamo in loro per poi reprimerla esemplarmente. Il cerchio si chiude, la caccia è aperta: giustizia è fatta? Si tratti di ‘mucca pazza’ o di ‘cani killer’, troverete sempre, comunque,”homo sapiens”.
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