Natalia Maramotti Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2007
Secondo una ricerca dell’Istat del 2004 le persone disabili sono più di un milione e mezzo. Dal 1992 la legge 104 assicura una tutela ai disabili e nel 1999 la legge 68 ha introdotto norme anche riferite al diritto al lavoro dei disabili, tuttavia mancavano mezzi di tutela giudiziari efficaci per la difesa dalle discriminazioni basate sulla disabilità .
L’esigenza di adeguamento della normativa nazionale a quella europea ha prodotto il recepimento della direttiva 2000/78/CE, tramite il Dlgs 216/2003 e, per la tutela giudiziaria dei disabili, la L. 67/2006.
I due strumenti normativi sono riferiti ad ambiti diversi. Il Dlgs 216/03 riguarda: a) l’accesso all’occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione; b) l’occupazione e le condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del licenziamento; c) l’accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini; d) l’affiliazione e l’attività nell’ambito delle organizzazioni di lavoratori, di datori di lavoro o di altre organizzazioni professionali e prestazioni erogate dalle medesime organizzazioni.
La legge 67/06 si riferisce a tutti gli altri ambiti della vita sociale, diversi dal mondo del lavoro, in cui promuovere il principio di parità di trattamento e di pari opportunità nei confronti delle persone disabili. I concetti di discriminazione diretta ed indiretta, previsti dal Dlgs n. 216/03 sono stati richiamati pressoché letteralmente nella Legge 67/06; vediamo le definizioni delle due diverse fattispecie.“Si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità , una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga”. Non potrà distinguersi se i motivi connessi alla disabilità siano soggettivi o oggettivi ossia riconducibili alla volontà dell’agente o indipendenti da essa poiché ciò che conta è che questi comportino un trattamento meno favorevole di quello che al momento o in passato ha ricevuto un’altra persona non disabile. “Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto, un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone”.
La lettura di tale disposizione pone in luce il fatto che mentre la discriminazione diretta la ritroveremo in situazioni in cui il disabile si trova in diretto contatto con l’agente, la discriminazione indiretta più facilmente sarà ricollegabile ad una disposizione, criterio, atto, patto ossia a qualcosa di scritto. Potrebbe trattarsi ad esempio della disposizione di un regolamento di organizzazione dei pubblici uffici o di un regolamento di un Ente Locale, o ancora del regolamento interno di una compagnia di trasporto aereo.
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