La donna del mese - Poeta, scrittrice ed intellettuale. Fondatrice e presidente sia della sezione palestinese della Wilpf (Lega Internazionale Femminile per la Pace e la Libertà)
Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2006
Hanan Awwad è poeta, scrittrice ed intellettuale. Fondatrice e presidente sia della sezione palestinese della Wilpf (Lega Internazionale Femminile per la Pace e la Libertà) sia dell’Associazione Scrittori Palestinesi, è anche direttrice di dipartimento in un ateneo di Gerusalemme. Non porta il velo e tiene sulle spalle il tipico keffiyah del suo paese. E può bastare vederla per capire subito che non è certo delle sue cariche che le interessa parlare, bensì della difficile situazione del popolo palestinese: embargo, stato di polizia, frontiere sempre spostate, un popolo umiliato, oppresso. Più volte nel corso della nostra conversazione le si gonfiano gli occhi. Non piange, ma la voce è leggermente alterata mentre racconta l’incubo di vivere in una città occupata. “Puoi immaginare cosa significa vivere in un posto dove ogni giorno confiscano nuove terre al tuo popolo, cambiano i confini, muta la demografia, i diritti di cittadinanza, ed il tuo spostarti di solo pochi chilometri dipende dai militari israeliani alla frontiera, tanto che non sai se varrà la pena uscire di casa".
In questa situazione così complessa è possibile secondo lei pensare pratiche di pace insieme alla parte israeliana?
Ci sono meeting per la pace, gruppi di palestinesi e israeliani che manifestano congiuntamente. Ci sono anche analisi politiche e idee, ma la realtà quotidiana è davvero molto difficile, è una condizione di continua umiliazione per i palestinesi. Non può esserci pace senza giustizia, e non c’è giustizia in Palestina finché c’è l’occupazione. Un dialogo paritario e diverse relazioni tra i due popoli saranno possibili solo con una reale pari dignità.
Qual è la posizione della Wilpf a proposito della crisi in medio oriente?
La Wilpf ha istituito un comitato permanente per la crisi in Medio Oriente formato da donne di varie nazionalità, a cui partecipano sia palestinesi che israeliane. In un suo recente documento ha deplorato “l'escalation della violenza in Libano, nei Territori palestinesi occupati, specialmente Gaza, e in Israele, la scelta di colpire obiettivi civili e distruggere infrastrutture civili da qualsiasi parte venga e, in particolare, l'eccessiva sproporzionata rappresaglia militare da parte di Israele, come una violazione del diritto internazionale.” Inoltre si chiede “a tutte le parti interessate di accettare il cessate il fuoco, di rilasciare i prigionieri palestinesi e libanesi illegalmente detenuti e di cominciare a negoziare una giusta e durevole pace che rechi sicurezza alle popolazioni civili di Israele, Palestina e Libano. E auspicando “soluzioni pacifiche per proteggere le vite umane in Medio Oriente e ovunque nel mondo” si propone “una Conferenza internazionale di pace convocata dalle Nazioni Unite e basata sul riconoscimento dello Stato sovrano di Palestina entro i confini precedenti al 1967 e definiti dagli accordi del 1947, con eventuali modifiche accettate concordemente dalle parti.”
Lei ha già dichiarato di sentirsi testimone diretta e partecipe della resistenza palestinese contro l’occupazione israeliana. Può dirci qualcosa sul ruolo della donna nella resistenza?
Le donne palestinesi partecipano alla resistenza in tutte le sue forme, subendo persecuzioni e carcere. Vi sono anche donne che hanno partorito in prigione. Le donne palestinesi sono tra le più istruite del mondo, e sono molto attive alla vita sociale. Cerchiamo di dire la nostra sulla futura costituzione palestinese e siamo soddisfatte del fatto che nella Dichiarazione di indipendenza venga affermato che nello Stato palestinese non ci devono essere discriminazione né di razza né di genere, e inoltre ci sono importanti accenni al ruolo della donna, considerata “la custode della sopravvivenza del popolo palestinese”.
E il ruolo di intellettuali e scrittori?
E' stato molto importante fin dal 1948. La produzione letteraria ha vissuto un periodo particolarmente felice durante il periodo di Arafat. Anche io mi sento una scrittrice impegnata, in difesa del diritto, della dignità e della giustizia. E sento che, attraverso la mia penna, difendendo il popolo palestinese, difendo tutti gli oppressi del mondo e posso fare emergere una speranza di vita.
Come quella che trapela nei versi tradotti in italiano tratti da la raccolta poetica 'La terra più amata. Voci della letteratura palestinese' (Manifesto Libri, Roma 2002; Voci dal muro, Manni Editore, Lecce 2004):
Costruirò una barca al sole/per navigare verso queste nozze/metterò fine alla storia/così bella del passato/e sognerò ritorno […] più alta t’amo speranza/che i desideri riporti alla vita,/t’amo tempo di questo paese/vita di attimi lucenti/io ti amo miracolo/più di ogni miracolo bello
(10 dicembre 2006)
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