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HAITI - L'isola bella e sfortunata

HAITI - L'isola bella e sfortunata

L’emergenza del dopo terremoto - Iliana Joseph di Haititalia racconta la ‘sua’ Haiti, i problemi e le potenzialità di un luogo incantevole e dimenticato

Angelucci Nadia Lunedi, 31/03/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2014

 “Noto che nei miei connazionali cresce sempre più la consapevolezza di quello che sia giusto o sbagliato per il proprio Paese, e questo è un motivo di speranza”. Termina con queste parole l’intervista che NOIDONNE ha voluto fare a Iliana Joseph, haitiana, che vive nel nostro paese da molti anni. Fondatrice di Haititalia, di cui è presidente dal 2012, ci da l’opportunità di parlare di un’isola incantevole spesso dimenticata e ‘degna’ di comparire sui nostri giornali solo in occasioni di catastrofi e guerre. “Haiti cherie non c‘è un paese migliore di te (…) C’è un buon sole, fiumi deliziosi, piacevoli spremute, sotto gli alberi abbiamo un’ombra gradevole e un vento leggero ci rinfresca” dice una canzone composta nel 1920 da Othello Bayard per incoraggiare l’orgoglio nazionale e la resistenza all’occupazione USA e che racconta la bellezza e l’unicità di questo paese. Iliana Joseph è nata a Port-de-Paix, si è trasferita in Italia dopo il Liceo. Vive e lavora a Torino, con il marito italiano e i suoi due figli. Nel 2009 ha creato Haititalia, per mantenere contatti constanti con l’isola e cercare di migliorare il proprio Paese.



A quattro anni dal terremoto come è la situazione ad Haiti? 


La fase di emergenza è stata superata ma questo non vuol dire che i problemi siano stati risolti. La ricostruzione non è di fatto mai avvenuta, a partire dagli edifici istituzionali, come il palazzo presidenziale, o quelli religiosi, come la cattedrale. La loro rinascita avrebbe avuto se non altro un altissimo valore simbolico. La vera questione è che i problemi che esistevano prima del terremoto, e che determinano lo stato di povertà di Haiti, restano tutti. L’economia è imbrigliata dall’oligarchia, dalla politica e dalla dipendenza dall’estero. I governi non si occupano dei problemi della gente: disoccupazione, redditi bassissimi e un carovita spropositato. Il sistema scolastico e sanitario sono precari e insufficienti. La situazione ambientale è disastrosa. La maggior parte della popolazione vive sotto la soglia di povertà. La ricostruzione dopo il terremoto avrebbe potuto essere un “momento zero” da cui ripartire per rifare un Paese, non solo in senso fisico. Questo non è successo. 



Che cosa è Haititalia e come agisce nel paese?


È un’associazione nata da alcune famiglie di origine haitiana che intende far conoscere Haiti dal punto di vista del suo popolo, evitando le distorsioni, le interpretazioni e le mediazioni talvolta errate che una visione e una conoscenza non autoctona possono dare e per far conoscere la sua cultura, le sue bellezze, i suoi problemi dal punto di vista di chi ci è nato e vissuto. Non potendo sviluppare autonomamente interventi e progetti, ricerchiamo la collaborazione di altre associazioni, enti e ong haitiane o presenti in Haiti e che condividano l’impegno a combattere il sottosviluppo che condiziona il Paese, a rimuovere le cause delle povertà e delle ingiustizie che lo opprimono attraverso interventi che garantiscano uno sviluppo sostenibile e non dipendente.



Quali sono i progetti portati avanti ad Haiti?


Qualche mese dopo la nostra fondazione, è successa la catastrofe del terremoto, per cui ci siamo subito attivati per favorire la ricerca dei dispersi tra i nostri parenti e conoscenti. Grazie alla solidarietà di molti italiani abbiamo anche ricevuto dei contributi che abbiamo indirizzato all’ospedale dei Camilliani Foyer St. Camille, di Port-au-Prince. Abbiamo contribuito all’acquisto di una clinica mobile, un’ambulanza attrezzata; abbiamo contribuito a fornire l’attrezzatura tecnologica al Groupe Medialternatif, importante agenzia di stampa e centro di formazione informatica per i giovani. In questo periodo stiamo sostenendo l’attività di un centro professionale per ragazze madri, per permettere loro di imparare un lavoro per guadagnarsi da vivere e per mantenere i figli. Infine appoggiamo le attività che l’ong torinese CISV sta svolgendo in Haiti in difesa delle donne vittime di violenza, insieme alla storica associazione haitiana Kay Fanm (Casa della donna).



Quale è la situazione delle donne haitiane?

 La donna haitiana è discriminata fin dall’infanzia. Sono le bambine a svolgere la maggioranza dei lavori domestici, soprattutto in ambiente rurale, che è quello predominante. E non si tratta solo di farsi il letto, mettere a posto la cameretta e apparecchiare la tavola, come accade qui. Ma caricarsi l’acqua e percorrere svariati chilometri, cercare il carbone per la cottura del cibo, andare al mercato, accudire i fratelli più piccoli. Questo contribuisce all’abbandono scolastico e alle gravidanze precoci. È chiaro che si determina subito uno svantaggio e una differenza di genere che si ripercuote anche a livello culturale, alimentando la mentalità machista e rallentando un processo di emancipazione che pure esiste. La rinuncia allo studio, accudire i figli e sbrigare le faccende domestiche limitano fortemente la libertà e le prospettive di noi donne. La violenza sulle donne è un gravissimo problema, ma se ci pensiamo anche qui in Italia e in quello che viene considerato l’occidente evoluto è un problema attualissimo.



Come sono gestiti gli aiuti internazionali?

Haiti riceve da sempre “aiuti internazionali” e sono veramente poche le volte in cui si è potuto notare un evidente cambiamento. Il caso del terremoto è emblematico. Quale ricostruzione è stata fatta? Sono migliorate alcune strade, qualche ospedale, qualche scuola ma restano le carenze di sempre, soprattutto a livello di infrastrutture. L’unico settore che ha avuto un impulso straordinario è stato quello del turismo. Resort esclusivi sono sorti come funghi, accompagnati da campagne promozionali volte a presentare Haiti come un nuovo paradiso terrestre. E Haiti potrebbe davvero esserlo. Ma questi alberghi chi se li può permettere, al di fuori di qualche ricco statunitense o giapponese? 



C’è una ripresa o il Paese non riesce a risollevarsi?


Qualcosa si sta muovendo, ma sarebbe il minimo visto gli aiuti ricevuti. L’attuale governo sta terminando anche vecchi progetti risalenti a prima del terremoto e accresce la sua immagine di “qualcuno che finalmente fa qualcosa”. Restano i dubbi sulla reale volontà di cambiamento da parte dei “potenti”. Tenere un paese in emergenza interessa a molti. Il rilancio dell’agricoltura dovrebbe essere ovvio in un Paese all’80% a vocazione agricola, ma non è così. Crescono i parchi industriali, dove è vero che si dà lavoro, ma è lavoro malpagato da multinazionali estere che sfruttano la mano d’opera. E il governo non si preoccupa di risolvere la questione del salario minimo. I pochi cambiamenti che Haiti nel corso della sua storia è riuscita a produrre (ma purtroppo a non mantenere) sono sempre partiti dal popolo. Però noto che nei miei connazionali cresce sempre più la consapevolezza di quello che sia giusto o sbagliato per il proprio Paese, e questo è un motivo di speranza. #foto5dx#



Foto gentilmente concesse dall’archivio CISV. Info: www.haititalia.altervista.org - www.cisvto.org

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