Terremoto - Come in una spirale senza ritorno sembra inchiodata alla 'colpa' di non essere riuscita a salvarsi dal saccheggio
Fastiggi Luce Martedi, 02/02/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2010
È banale, ma non superfluo, dire che siamo eterodiretti, anche nei nostri slanci di solidarietà e commozione, dalle emergenze che di volta in volta ci vengono presentate e raccontate; come se non fossimo in grado di vedere da soli. Altrimenti ci saremmo accorti da anni della disperazione di Haiti, bellissima e maledetta.
Haiti cherie. Il primo luogo in cui approdò Colombo nel suo viaggio di 'scoperta', la prima nazione a ribellarsi alla schiavitù nel 1793, una delle prime ex colonia libere del mondo e una delle pochissime nazioni abitata principalmente da neri. Un affronto troppo grande pagato con un prezzo altissimo che, solo in questi giorni di catastrofe umanitaria, le televisioni ci rimandano con immagini strazianti. Haiti era invece un paese ricchissimo: con lo zucchero, il rum, il caffè, il tabacco, prima dell'indipendenza produceva da sola il 50% del PIL francese. L'alzare la testa e proclamare l'indipendenza però si sono dimostrati oltraggi che le nazioni occidentali non hanno tollerato compiendo ripetuti tentativi di invasione, pressioni economiche indicibili e dando il via ad una politica di sistematica ingerenza politica e sfruttamento delle risorse: nel 1825 il presidente haitiano per evitare l'invasione francese accettò di pagare 90 milioni di franchi come "compensazione alla Francia per i mancati profitti dello schiavismo". Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento innumerevoli colpi di stato finanziati da gruppi politici in conflitto. Poi l'invasione nel 1915 degli Stati Uniti che quando abbandonarono il paese, nel 1934, lasciarono ad Haiti un debito di 40 milioni di dollari con le banche statunitensi e un'influenza nefasta che diede il via ad una serie di dittatori, tra cui i Duvalier (padre e figlio), che seminarono il terrore continuando ad accumulare debiti e a mantenere monocolture per arricchire se stessi, la loro ristretta cerchia di amici e i creditori stranieri. La storia degli ultimi anni ci narra di un ex prete della teologia della liberazione, Jean -Bertrand Aristide, che vince le elezioni dopo la caduta dell'ultimo Duvalier. Ma non ha vita facile; è costretto all'esilio, torna in alternanza con Preval (attuale presidente), e viene deposto nel 2004 con un colpo di stato. Da quel momento stazionano ad Haiti i caschi blu della Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite (MINUSTAH). Il resto è cronaca di questi giorni, uragani, inondazioni e adesso anche un catastrofico terremoto.
Haiti cherie, rimbalza in questi giorni nella rete. E' una canzone di Toto Bissainthe, celebre attrice e cantante haitiana morta nel 1994, nota per il suo mix innovativo di temi tradizionali vudù e rurali e musica contemporanea; racconta la nostalgia per un'isola meravigliosa che fa pensare al paradiso ed è postata nei vari siti da haitiani residenti all'estero per esprimere la propria vicinanza all'isola martoriata.
Haiti cherie. Come in una spirale senza ritorno sembra essere inchiodata alla 'colpa' di non essere riuscita a salvarsi dal saccheggio: un tempo era coperta di foreste al 90%, e al 60% ancora nel 1923, oggi ha alberi soltanto nell'1,5% del territorio, perché i poveri li hanno tagliati per cucinare e scaldarsi. Il reddito medio è inferiore a 100 dollari al mese. Tutta questa devastazione non può avvenire senza lasciare un segno, una ferita; e infatti Haiti è esasperata da un altissimo tasso di criminalità, instabilità e violenza politica. Cinque secoli di razzie da parte delle nazioni ricche sono stati determinanti per trasformarla in una delle più povere nazioni al mondo, da tutti i punti di vista. La disoccupazione arriva quasi al 70% e moltissimi varcano clandestinamente la pericolosa frontiera con la Repubblica Dominicana, che divide l’isola in due. Qui, isolati nei recinti (Bateyes), vivono i lavoratori impiegati nelle piantagioni ai limiti della sopravvivenza; manodopera a basso costo per il taglio della canna da zucchero.
Haiti cherie è anche il titolo di un film (girato da un regista italiano) che racconta la storia di Jean-Baptiste e Magdaleine, marito e moglie haitiani, che lavorano in una piantagione di canna da zucchero nella Repubblica Domenicana. Scappati da Haiti per sfuggire ad un destino di fame e disperazione, come tanti connazionali, assistono alla morte per denutrizione del loro bambino. Di fronte alla drammatica realtà, Haiti si trasforma, ai loro occhi e nella loro memoria, in una terra promessa, la patria i cui colori e profumi vorrebbero ritrovare, nonostante le loro famiglie siano state massacrate da uno degli innumerevoli scontri violenti che hanno devastato il paese. I due intraprendono un burrascoso viaggio di ritorno attraversando una Repubblica Dominicana, il cui aspetto turistico di mondo di vacanze crea un contrasto tragico con il mondo di miseria e squallore da cui provengono. Alla fine i ragazzi riescono a tornare nel proprio paese, ad Haiti cherie, e trovano un mondo stravolto dalla povertà e una rassegnazione antica nella gente, che sembrano aver fermato il tempo, lasciandolo come sospeso. Parabola drammatica della situazione haitiana, il film che è stato girato nel 2007 ha trovato pochissima distribuzione in Italia pur vincendo il Premio Giuria de Giovani del 60° Festival del Film Locarno e il Premio per la miglior sceneggiatura al 24° Festival International du Film d'Amour de Mons.
Haiti cherie. Cosa è rimasto di quelle donne e di quegli uomini coraggiosi che proclamarono la prima Repubblica nera nel mondo?
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