Ha ancora significato celebrare il giorno della donna?
Politica/ Ripartiamo dall’otto marzo - Alcune domande fondamentali per riflettere ancor di più sulla finta democrazia italiana
Natalia Maramotti e Donatella Ferrari Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2005
Oggi la domanda è: ha ancora significato celebrare un giorno dedicato alla donna?
Ogni anno su questo tema si raccolgono interviste che schierano le donne su due fronti opposti a favore o contro la ricorrenza.
Per affermare che esiste la assoluta necessità che si conservi la ricorrenza basterebbe un solo argomento: in Italia , paese di consolidata tradizione democratica, che riconosce l'eguaglianza senza distinzione di sesso come uno dei principi fondamentali della Costituzione, la rappresentanza politica delle donne nel Parlamento nazionale e negli enti locali è così esigua da rasentare lo scandalo.
Nel Parlamento Europeo invece,dopo le elezioni del 2004, le donne sono circa raddoppiate, passando dall'11,5% al 20,5%, questo grazie alle pressioni esercitate da una Risoluzione del Parlamento Europeo che ha invitato i partiti politici dei paesi membri ad applicare politiche comuni per inserire almeno il 30% di donne nelle liste elettorali.
Esiste dunque in Italia un problema, non sottovalutabile per qualunque cittadino che si dica sinceramente democratico, di sottorappresentazione e dunque sottovalutazione delle istanze, bisogni, opinioni e punti di vista delle donne.
L'irrilevanza della partecipazione femminile a livello di rappresentanza istituzionale è evidente anche nei comportamenti soggettivi: non c'è alcun imbarazzo nei partecipanti a consessi di governo, ai vari livelli, locali e nazionali, a trovarsi tra uomini ed a decidere per tutti.
C'è una accettazione sociale, molto condivisa, talvolta anche dalle donne,del fatto che le politiche di pari opportunità rappresentano "il superfluo", quello che ci si può permettere, politicamente ed amministrativamente, quando si sono risolti i "veri" problemi, ossia mai, perché ogni altra questione pare avere più dignità e più impellenza delle politiche di pari opportunità.
Che dire invece della condizione delle donne nel lavoro? Se l'Emilia Romagna rappresenta un'isola felice, e Reggio Emilia ancor più, per quanto riguarda il tasso di attività delle donne, che ha superato la soglia del 60% prevista come obiettivo per il 2010 dalla Comunità Europea, molto diversa è la situazione dell'Italia, presa nel suo insieme.
Il tasso di attività medio delle donne è del 36,8%( dati 2002), molto lontano dall'obiettivo intermedio del 57% individuato dalla C.E. per gli stati membri nel 2005.
Le donne italiane in compenso sono quelle che lavorano di più a causa del loro doppio ruolo, se si sommano le ore di lavoro retribuito con quelle di lavoro non retribuito, il tradizionale lavoro domestico; ciò dipende dal fatto che in Italia i ruoli maschio /femmina non hanno subito una trasformazione adeguata all'evolversi della presenza delle donne nel mercato del lavoro.
Dall'altro lato le politiche che favoriscono la conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare, tra le quali grandissima importanza rivestono quelle di realizzazione di servizi per l'infanzia, sono un "privilegio" delle donne, determinato dalla parte del paese in cui sono nate e vivono:nascere e vivere a Reggio Emilia, in questo, può fare la differenza, come dimostrano i dati della presenza femminile nel mercato del lavoro reggiano.
Le donne, poi, anche in Italia, sono ancora oggetto di forme di aggressività o di vera violenza,in famiglia e nei luoghi di lavoro, come testimoniano sia le case delle donne contro la violenza , che, anche in contesti socialmente avanzati , come quello locale, accolgono molte donne sia luoghi, come l'Ufficio delle Consigliere di Parità di Reggio Emilia, o gli sportelli di consulenza sindacale, dove le donne raccontano storie di molestie morali o fisiche sul lavoro, che spesso non vengono alla luce e restano impunite, per la difficoltà di darne la prova testionale in un giudizio.
Del resto il rapporto svolto dal Comitato dell'ONU che vigila sulla convenzione del 79 per le pari opportunità , sottoscritta da 179 paesi,restituisce l'immagine di un'Italia in cui le donne sono rappresentate come oggetto sessuale e vivono una condizione lontana dal raggiungimento di pari diritti e dignità.
Ripartiamo dall'8 marzo , facciamolo ogni anno, perché l'agenda dei diritti delle donne non ha solo la pagina nazionale, per la quale sembra comunque che ci siano ancora molti obiettivi da raggiungere: le donne che vivono fuori dal così detto mondo occidentale soffrono condizioni di privazione o negazione dei diritti fondamentali gravissime fino alla negazione del diritto fondamentale di esistere. Possiamo dimenticarci di loro, oggi che spesso ce le troviamo accanto sul tram a fare la spesa o al lavoro, oggi che risulta inopportuno parlare di "noi" e di "loro" quando Giuliana Sgrena e Florence Aubenas, coi loro volti segnati ed atterriti, ci ricordano quanto sia difficile vivere la differenza del nostro linguaggio di donne fatto di mediazione, di ascolto e di rifiuto della violenza come unica arma per risolvere i conflitti.
Lascia un Commento