Caucaso in fiamme - Ci sono in maggioranza donne e bambini tra i 160mila sfollati dopo le azioni militari, che hanno ucciso molti civili. Violenze che si aggiungono alla mancanza di diritti nelle famiglie o riconosciuti dallo Stato
Cristina Carpinelli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2008
Il Caucaso è di nuovo in fiamme. Nei primi giorni d’agosto la provincia dell’Ossezia del Sud, appartenente alla repubblica della Georgia e autoproclamatasi indipendente con due referendum, è stata motivo di scontri armati che hanno visto fronteggiarsi l’esercito russo, quello georgiano e le milizie separatiste (filo-russe) della stessa Ossezia del Sud. Parte del territorio georgiano è stata posta sotto il controllo delle truppe di Mosca intervenute a seguito dei bombardamenti georgiani su Tskhinvali, capitale dell’Ossezia del Sud. Il capoluogo sudosseto è stato quasi raso al suolo. Il presidente dell’Ossezia del Sud, E. Kokoity, ha dichiarato che i morti a Tskhinvali sono stati duemila. L’attacco georgiano è stato giustificato dal presidente della Georgia, M. Saakasvhili, come risposta al regime criminale e corrotto dei separatisti osseti. Ha, in più, definito la ritorsione del raid russo una vera e propria invasione, che ha violato la sovranità di uno Stato, tale da dichiarare lo “stato di guerra”. Il conflitto ha rischiato di ampliarsi anche all’altra provincia secessionista filorussa dell’Abkhazia.
Le azioni militari hanno causato danni notevoli in Ossezia del Sud e in altre parti della Georgia, e molte vittime tra i civili. I combattimenti hanno, inoltre, costretto alla fuga circa 128.000 persone, sfollate in gran parte in altre zone della Georgia, mentre 30.000 sono i profughi ossetini scappati nell’Ossezia del Nord (in territorio russo), attraverso il tunnel di Roksky. Donne e bambini rappresentano la maggioranza della popolazione in fuga (circa il 60% degli sfollati interni e l’80% tra i profughi oltre confine). Tra gli sfollati interni ci sono anche donne incinte e con neonati, che sono stati sistemati in 170 campi provvisori allestiti in strutture pubbliche: asili, scuole, ospedali. Per quanto riguarda, invece, i profughi oltre confine, questi hanno attraversato la frontiera, raggiungendo la Federazione Russa e trovando temporaneamente riparo in campi di raccolta per sfollati, presso alcune famiglie dell’Ossezia del Nord e in altre province della Russia meridionale. Questa ondata di fuggiaschi si somma ai 220.000 sfollati già presenti in Georgia, martoriata da tempo dal gioco delle grandi potenze e dalla manipolazione delle identità nazionali.
Eppure, prima dell’esplosione di quest’ultimo conflitto non era palpabile tra la popolazione alcuna tensione. In base alle statistiche del paese risulta che il 70 per cento dei matrimoni nell’Ossezia del Sud sono misti, tra osseti e georgiani. Le strette relazioni tra le due comunità sono pure confermate dalla presenza di legami di parentela. Molti georgiani hanno parenti nell’Ossezia meridionale, e molti sono i villaggi dove le due etnie (georgiana e osseta) convivono in pace. Afferma un giovane georgiano: “Saakasvhili fa combattere i georgiani contro i propri amici e parenti in Ossezia”. La questione etnica, che può essere stata effettivamente la causa del conflitto del 1992, ha oggi un peso minore, benché le autorità indipendentiste ossete si siano sempre appellate al principio di autodeterminazione dei popoli, al desiderio del popolo osseto, russofono e apertamente filorusso, di entrare a far parte della Federazione Russa.
La volontà di secessione dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud deriva da un insieme di fattori storici e geopolitici. E’ la conseguenza di strategie del conflitto e di guerre per il controllo di risorse e corridoi energetici e di importanti rotte di transito. Attraverso la Georgia passa l’oleodotto BTC (Bakù-Tbilisi-Ceyhan), definito la “Via della seta del XXI secolo”, costruito per trasportare il petrolio azero dal mar Caspio alla costa turca del mar Mediterraneo. Il consorzio che gestisce l’oleodotto è costituito da multinazionali americane, israeliane ed europee. Il gasdotto del Caucaso meridionale, gestito dalla British Petroleum, trasporta gas dall’Azerbaigian sino ad Erzerum in Armenia. L’oleodotto Bakù-Supsa, gestito da un trust internazionale per lo sfruttamento dei giacimenti del Caspio, cui partecipano diversi paesi occidentali, conduce attraverso le montagne del Caucaso il petrolio dall’Azerbaigian sino al porto georgiano di Supsa sul Mar Nero. Dal porto di Supsa le petroliere si dirigono verso i terminali in Turchia, Romania, Bulgaria, ma anche in Moldavia e Ucraina. Le ex repubbliche sovietiche hanno in questo modo ridotto la loro dipendenza energetica da Mosca. Tutti questi corridoi energetici tagliano fuori la Russia dalle rotte post-sovietiche dell’oro nero e del gas. Alla Russia rimane il controllo dell’oleodotto Bakù-Novorossiysk, che valica un territorio con il quale ha avuto in passato sanguinosi conflitti: la Cecenia.
Siamo, insomma, in presenza di guerre d’affari, dove i russi da tempo cercano di ristabilire la loro egemonia sul Caucaso, mentre gli americani hanno individuato nella Georgia l’avamposto per la loro penetrazione nell’ex Asia centrale sovietica sino a coordinare, nel 2003, la “Rivoluzione delle Rose” contro l’ex presidente georgiano E. Shevardnadze, e inviare corpi speciali Usa tra le truppe d’èlite georgiane per addestrare l’esercito georgiano in funzione ‘anti-terrorismo’. In un’intervista alla Cnn il presidente georgiano Saakashvili, dopo la rivalsa russa, ha sollecitato l’intervento degli Stati Uniti: “Non è più solo una questione georgiana. Si tratta dell’America e dei suoi valori. Noi siamo una nazione amante della libertà che ora si trova sotto attacco”. Ma il Caucaso è anche una polveriera a causa delle guerre combattute in nome di traffici di ogni tipo (compreso quello delle donne). Noto è il business multimiliardario del contrabbando gestito dal regime indipendentista di Kokoity e dai suoi protettori e dalla mafia russa, che controlla, di fatto, da dodici anni il territorio osseto. La mafia locale e quella russa, d’accordo con le milizie d’interposizione russe, si arricchiscono con il commercio illegale di tabacco, benzina e soprattutto di vodka, provenienti dalla Russia attraverso le montagne e smerciati in Georgia. Un contrabbando le cui briciole danno da vivere anche alla povera gente dell’Ossezia. Lo scorso giugno Saakashvili ha ordinato lo smantellamento del grande mercato (in gran parte di beni di contrabbando) del villaggio di Ergneti, alla periferia di Tskhinvali. Un “buco nero” che danneggiava pesantemente l’economia georgiana, secondo il governo di Tbilisi. Con questo gesto il presidente georgiano ha voluto dimostrare la sua intenzione di riportare l’Ossezia del Sud sotto il controllo governativo. Il mercato era una grande distesa di bancarelle, in cui si trovavano barili di benzina, casse di vodka, armi, droga e stecche di sigarette. Formando più del 22% del territorio georgiano, l’Abkhazia, l’Ossezia del Sud e l’Adjaristan sono delle vere centrali del contrabbando per i commercianti russi, georgiani e armeni. E mentre nel Caucaso si continuano a combattere guerre per il petrolio e il monopolio del traffico illecito di armi, droga ecc., dietro cui si consumano tragedie umanitarie, anche i diritti delle donne in quella regione continuano ad essere violati. Lela Gaprindashvili, sociologa dell’Università di Tiblisi, sostiene che “…più del 50% delle donne sposate nella Repubblica caucasica della Georgia sono vittime della violenza in famiglia, che può avere molte ragioni. Le più frequenti sono alcoolismo, disoccupazione, povertà e i tradizionali ruoli dei sessi”. Ma il divorzio, per una donna caucasica, è una vergogna. Gli uomini georgiani possono, invece, lasciare le proprie mogli e risposarsi senza temere per il proprio onore. Il matrimonio, secondo la maggior parte dei georgiani, implica la facoltà del marito di disporre della propria moglie. Eliso Amirejibi, direttrice regionale dell’Unione contro la violenza sulle donne in Georgia, distretto di Tbilisi, afferma: “Dallo Stato le donne in questo posto non possono aspettarsi un granché. (…) I padri non sono obbligati al mantenimento dei figli illegittimi. E nemmeno in caso di separazione una donna può far valere i propri diritti sul marito”. Inoltre, “…le leggi a difesa della popolazione femminile sono in numero sufficiente, ma non vengono applicate”. “Se una donna viene maltrattata - prosegue l’avvocata - la polizia non interviene. (…) Fa parte delle nostre tradizioni non immischiarsi nelle vicende familiari. Ed è così che nessuno denuncia alle autorità le violazioni dei diritti delle donne”. L’antica tradizione del rapimento della sposa sta tornando in voga nonostante le leggi severe e l’impegno dei gruppi per i diritti delle donne. Lo stupro è considerato un delitto d’onore. Nona Aldamova Dshapharidse, ginecologa di 39 anni, nata nella valle del Pankisi, si è trasferita per motivi di studio a Tbilisi. Cinque anni fa ha fondato nella capitale un’organizzazione di assistenza per le donne. “Dopo la caduta dell’Urss la situazione economica della Georgia è notevolmente peggiorata. Numerosi posti di lavoro sono andati in fumo. E questo ha provocato un inasprimento dei fenomeni di violenza e d’abuso all’interno delle famiglie più disagiate”, racconta la dottoressa. Eliso Amirejibi si augura che arrivino aiuti concreti dall’UE: “Stiamo promuovendo l’unica ‘Casa della Donna’ in Georgia. I costi di gestione solo elevati”, spiega. Al momento le donne accolte nella “Casa della Donna” sono 7 ed ognuna di loro può soggiornarvi per un periodo di 3 mesi.
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