Lunedi, 09/01/2023 - «Guerra, guerra, guerra. Non ci si diverte più da nessuna parte con questi discorsi, ne ho fino alla cima dei capelli!»
È la prima battuta di Rossella O’Hara in "Via col vento": i gemelli Tarleton discutono appassionati dell’imminente inizio della guerra civile tra Nord e Sud – «Guerra! Emozionante, vero?» dice uno dei due – e Rossella li delude pretendendo di cambiare argomento.
Nel corso del 2022 è successo qualcosa di imprevisto in Europa: ci siamo riabituati alla guerra. Stanno morendo gli ultimi e le ultime sopravvissute alla seconda guerra mondiale ed evidentemente con loro sta morendo la memoria di cos’è la guerra, così alcuni uomini assetati di potere hanno deciso di tornare a provare quell’emozione di cui parlavano i gemelli Tarleton.
La prima parte di "Via col vento" prosegue con la merenda alle Dodici querce, la piantagione dei Wilkes; dopo la gioviale merenda le ragazze vengono mandate a riposare e gli uomini si riuniscono per parlare dell’argomento del giorno: la guerra. Perché, ovviamente, la guerra è una cosa da uomini. Con la presunzione e l’arroganza di chi si sente invincibile e comunque più forte degli altri, i valorosi uomini del Sud dichiarano che liquideranno i nordisti con una sola battaglia, facendoli scappare come lepri. Mi viene da pensare che fosse la stessa convinzione con cui Hitler invase la Polonia. E mi viene da pensare che fosse la stessa convinzione con cui Putin poco meno di un anno fa invase l’Ucraina. Ogni guerra viene annunciata come di breve durata, ma poi finisce per trascinarsi per anni. La guerra, ovviamente, non riguarda solo l’Europa, anche se noi siamo abituati a non guardare più in là del nostro naso: l'Armed conflict location & event data project ne conta più di 50 nel mondo, a cui i media occidentali non fanno quasi caso. L’attacco russo in Ucraina invece ci è vicino e ci coinvolge, economicamente e militarmente. L’espressione “terza guerra mondiale” è incredibilmente diventata una possibilità concreta senza creare né riprovazione né paura.
Quel giorno, alle Dodici querce, mentre tutti gli uomini sono in eccitata attesa della dichiarazione di guerra, Ashley Wilkes – spirito più filosofico degli altri - dichiara: «Quasi tutte le miserie del mondo sono causate dalle guerre. E quando le guerre sono finite nessuno sa più perché sono scoppiate.»
“È la guerra”, si sente da sempre dire per giustificare qualsiasi violenza, tradimento, costo. La guerra sembra giustificare tutto. Ma se la guerra è in sé ingiusta come può giustificare qualcosa? Mi è stato detto che non posso metterla su un piano così filosofico. Eppure, come Ashley Wilkes, sono convinta che un po’ di riflessione filosofica farebbe bene agli esseri umani moderni, perché a forza di accumulare cose hanno perso i pensieri.
La nostra Costituzione repubblicana, nata proprio per reazione alla tirannia e alla guerra, afferma nel suo articolo 11 che l’Italia “ripudia” la guerra. Le parole hanno un peso e gli uomini e le donne che hanno scritto la nostra Costituzione lo sapevano bene, perciò hanno fatto molta attenzione a scegliere le parole migliori per fondare la nostra Repubblica democratica: avrebbero potuto scrivere che l’Italia rinuncia, abbandona, disapprova “la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. No, hanno scelto il verbo “ripudiare”: dal latino repudiāre, secondo Garzanti Linguistica, significa “non riconoscere come propria una cosa”; i e le costituenti hanno cioè voluto affermare che la guerra non appartiene all’Italia, che l’Italia non si riconosce in quel modo violento di relazione internazionale, perché chi ha scritto la Costituzione aveva davanti agli occhi la distruzione, il dolore, la morte, la miseria causate dalla guerra. Quindi non sono solo io a dire che la guerra è filosoficamente ingiusta, è la Costituzione del nostro Stato a dire che è così profondamente ingiusta da rifiutare di riconoscersi in essa.
Invece non solo oggi la memoria è corta, ma ci si dimentica anche di rileggere le parole che hanno fondato il nostro Stato. La presidente del Consiglio si è recata prima di natale a Baghdad per salutare e ringraziare i soldati italiani lì impegnati: indossava un giubbotto militare. Il presidente del Senato poche settimane fa ha sostenuto la proposta di un nuovo servizio militare che premierebbe nel percorso di formazione chi vi partecipa. Tra i regali di natale molti bambini hanno ricevuto armi come giocattoli. Si sta normalizzando la guerra.
Oggi, riguardo ad ogni problematica, si pretendono soluzioni “realmente e immediatamente spendibili”. Questo si traduce in soldi e armi, che invece non fanno altro che alimentare i conflitti. L’unica soluzione è una rivoluzione culturale che ripudi la violenza – sempre, qualsiasi forma di violenza –, mettendo finalmente la guerra fuori dalla storia. Ma questa soluzione non è popolare, non appare spendibile. È lo stesso principio in base al quale il 25 novembre tanti (e tante) ignoranti dicono che per mettere fine alla violenza maschile contro le donne servono nuove leggi, quando ciò che metterà fine alla violenza maschile contro le donne sarà insegnare ai bambini che la violenza è sbagliata sempre, e che le femmine hanno e devono avere le stesse opportunità e gli stessi diritti dei maschi. Certo dire questo, dire che la soluzione è nella cultura, implica dire che il percorso da compiere è lunghissimo e soprattutto che c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui tutte e tutti noi viviamo ogni giorno della nostra vita, e certo dire questo spaventa perché al nostro modo di vivere ci siamo abituati, e disimparare tutto ciò che diamo quotidianamente per scontato è assai difficile.
Vabbè, ma la violenza riguarda gli altri, non me.
Vabbè, ma la guerra riguarda gli altri, non me.
«Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare» disse Martin Niemöller. Prima o poi il male arriva anche a noi. Similmente accade con la violenza maschile contro le donne – e mi si perdoni il vizio di fare sempre questo paragone: prima o poi arriva a te o a qualcuna vicino a te, e allora capisci che era meglio pensar prima a come organizzare diversamente il nostro modo di vivere. Perché il male è dentro di noi.
A proposito di soluzioni realmente e immediatamente spendibili, poco più di due millenni fa, per far finire una guerra che durava da vent’anni, un gruppo di donne greche decise di scioperare dal sesso fintanto che gli uomini non avessero abbassato le armi. Quest’idea venne al commediografo greco Aristofane, che nel 411 a.C. diede vita con la sua penna a Lisistrata, la donna che sconfisse la guerra del Peloponneso senza mai impugnare un’arma. D’altra parte il suo destino era già nel suo nome: “la donna che scioglie gli eserciti”. Era evidentemente un’epoca in cui gli scioperi servivano ancora a qualcosa; così, come negli anni Settanta del Novecento si invitò a fare l’amore e non la guerra, Lisistrata invitò le donne a non fare l’amore per far finire la guerra. Voleva cambiare le regole del mondo creato dagli uomini: «Non serve far la guerra» disse al Prefetto che provava a dissuaderla dai suoi intenti. «Abbiamo sopportato all’inizio ogni cosa che facevate voi mariti. Pur stando dentro casa, abbiamo inteso come sbagliaste un grande affare: soffrendo intimamente, vi chiedemmo col riso: “Che s’è deciso sulla pace di scrivere oggi in assemblea?” e il marito: “Che te ne frega, sta’ zitta” e io zitta.» Ma dopo tante sofferenze questa donna condannata al silenzio solo per il fatto di essere donna si ribellò: «Io sono una donna, ma in me c’è cervello.» La storia delle donne sta tutta in quel “ma”.
Ciò che mi colpisce nel rileggere Lisistrata - e nel vederla rappresentata a teatro interpretata da una bravissima Amanda Sandrelli *- è che sono passati quasi duemilacinquecento anni, gli uomini oggi si considerano evoluti e lontani anni luce dall’antica Grecia, eppure continuano ad uccidere per avere e dimostrare di avere più potere degli altri. Per avere di più.
«Essere coraggiosi è essere aggressivi, ed è da vili il ritirarsi». È scritto su una stele voluta dal faraone egiziano Senusret III milleottocento anni prima di Cristo. «La pace non può venire dalla resa dell’Ucraina». L’ha detto l’attuale ministro degli esteri italiano, duemilaventidue anni dopo Cristo. Quando gli esseri umani capiranno che la vera vittoria e la vera ricchezza è la pace?
Alla fine della Lisistrata di Aristofane, un ambasciatore ateniese, dopo aver deciso la pace, dice: «Si badi a non sbagliare ancora in futuro.» Ed eccoci qua, dopo quasi duemilacinquecento anni, a sbagliare ancora.
* "Lisistrata". Spettacolo diretto da Ugo Chiti (Arca Azzura), con Amanda Sandrelli, Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci, Gabriele Giaffreda, Elisa Proietti, Luciana De Falco.
Lascia un Commento