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Guardare al Maghreb con gli occhi di Gramsci

Guardare al Maghreb con gli occhi di Gramsci

Speciale Donne Arabe - Provare a leggere le “rivoluzioni del Maghreb” con gli occhi di Gramsci? Una sfida stimolante, anche se al limite dell’irriverenza, forse

Angelo d'Orsi Sabato, 30/05/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2015

Certamente, potrei dire che tutto quello che è accaduto, e ancora accade, in quella larga fetta di terra africana che si affaccia sul Mediterraneo, è degno della massima attenzione, se si assume il punto di vista di chi cerca di comprendere le possibilità, le modalità e i limiti dei fenomeni rivoluzionari. Così è stato per Antonio Gramsci, che alla causa della rivoluzione ha dedicato la sua breve e intensissima esistenza, da giornalista militante, da dirigente di partito, da teorico. La sua capacità di adattare il concetto alle situazioni storiche, ha costituito uno dei punti di forza del suo pensiero; ma un altro elemento peculiare è l’idea che la rivoluzione non trovi mai un punto conclusivo, una fine, che in qualche modo essa debba e non possa che proseguire, nelle società e negli individui. Inoltre, non tutte le rivoluzioni sono uguali, ci spiegherebbe Antonio: la rivoluzione in Occidente, dopo la catastrofe del movimento socialista internazionale, non può essere la stessa che in Oriente, ossia fondata sull’assalto frontale; ma piuttosto sulla costruzione di una controegemonia da parte delle classi subalterne.



Sta qui forse il cuore della riflessione: ma il Maghreb oggi è Occidente o Oriente? L’uno e l’altro, per la compresenza di arretratezza e sviluppo, di influssi culturali europei (e statunitensi) ma per la persistenza di valori, culture, immaginari risalenti all’Islam e anche alle contaminazioni con l’Africa “nera”. Il Mghreb oggi è però, essenzialmente, un Sud del mondo; una coordinata geografico-sociale che Gramsci non teorizza esplicitamente, ma che dobbiamo tirare in ballo, tenendo conto di come egli sia stato in grado di allargare la gabbia del marxismo classico e anche eterodosso, introducendo i “subalterni”, un concetto, evidentemente, ben più largo e comprensivo della classe operaia o dei proletari. E proprio tenendo conto di questa ambivalenza del Maghreb, tra culture e società diverse, tra mondi opposti, tra fedeltà al passato e spinta verso l’avvenire, possiamo gramscianamente sottolineare non solo la novità di una rivolta corale, sebbene variamente articolata, dei subalterni, ma individuare in essa la centralità della componente femminile, dall’Egitto alla Tunisia, dall’Algeria al Marocco… La classe subalterna, in seno ai subalterni, potremmo definirla: e quanta attenzione Gramsci dedicasse alle donne, lo sanno bene i suoi biografi e studiosi, di come insistesse con i “compagni” operai a non considerare le loro mogli e sorelle persone dimidiate, rispetto alle quali era consentito derogare alla legge dell’uguaglianza socialista e comunista.



 Ma Gramsci esamina pure la “rivoluzione passiva”, ossia quella dall’alto, quella senza le masse, quella che di fatto conserva, pur cambiando i regimi politici. Nel Maghreb abbiamo assistito anche a questo tipo di “rivoluzione”, a partire, magari, da genuine sommosse popolari, nelle quali l’altra metà del cielo ha svolto un ruolo rilevante, come del resto era capitato in quelle rivolte negli anni della Grande guerra o del Primo dopoguerra in Italia, e specie nella Torino di Gramsci: nel 1917, e poi nel 1919-20. E anche allora alla rivolta seguì, per carenze di direzione politica, non la rivoluzione vera, ma una forma di rivoluzione passiva, il fascismo.

Il rischio è oggi presente in Nordafrica, come si può vedere, in specie in Egitto, ma non soltanto. Si può concludere evidenziando una situazione di “crisi” nella quale nessuna delle forze in campo è in grado di scalzare l’altra, e da essa si esce, generalmente, o con un colpo di mano reazionario, oppure con la vittoria delle istanze del sovvertimento sociale. Questa la teoria gramsciana, che però nel presente, essendo cambiate, almeno in parte, le coordinate politiche e culturali di riferimento, può essere rivista, riadattata e aggiornata. Non esistono solo queste due possibilità, oggi, nel Maghreb: permane un’altra via, quella dello strisciante ritorno alla situazione precedente, che, nondimeno, non potrà mai essere esattamente il cupo immobilismo di prima, perché troppi dadi sono stati tratti, troppe situazioni sono comunque in movimento, e certe conquiste, in particolare quelle relative ai diritti sociali delle donne, e alla loro nuova agibilità politica, sono ormai, probabilmente, augurabilmente, irreversibili. E alle donne, in primo luogo, io credo, spetta oggi, ancora, la parola e l’azione, per evitare che tali conquiste e quelle ulteriori necessarie non vengano perdute, come, più in generale, non sia smarrita la bussola del cambiamento, sociale, culturale, e politico.



Angelo d'Orsi. Storico, insegna all’ Università di Torino. Intellettuale, editorialista e saggista è fondatore di Historia Magistra. Nel panorama internazionale è tra i massimi esperti di Antonio Gramsci. Ha un blog su MicroMega.


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