Futuro prossimo/3 - Poco presenti nella campagna elettorale, le donne rischiano di scomparire dall'agenda politica
Stefania Cantatore Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2006
Chi ha parlato di donne, in questa campagna elettorale? Sicuramente le donne tra loro, sicuramente le sporadiche candidate, poco i due affannati leaders a confronto. Eppure ci sono le donne! La maggioranza dell’elettorato. Ci sono, disincantate, offese, sì proprio offese, anche quando non lo sanno. Tante donne non sanno di essere state offese anche a parole, sanno delle offese quotidiane, che le trovano impotenti ed a volte rassegnate. Il lavoro, il portafoglio semivuoto, lo slalom tra gli ostacoli fisici e morali per l’esercizio dei diritti sempre più parlati.
Le nuove libertà, dove sono, quando è difficile agire quelle di sempre?
Libertà compresse nella competizione per la sopravvivenza. Competizione, per cosa e per andare dove? La politica non lo dice più perché la globalizzazione ha regole che nessuno ha scritto e che pesano anche sull’idea che serva ancora il criterio della delega elettorale. Pagine e pagine di programmi, non affrontano il nodo centrale del problema della “ripartecipazione” alla democrazia: un genere intero è costretto a chiedere anziché affermare.
Scadente per tutti questa politica, aggrappata a pensieri vecchi, tirati a lucido per le grandi occasioni. La ricontrattazione proposta da tutte, anche se incluse a vario titolo incluse nel potere, suona ormai come il segno di un fallimento d’intere generazioni.
È da molto che le donne nel movimento si interrogano su questo, ma in questa convulsa fine d’aprile 2006 nessuna, nella sinistra, pur disarmata e delusa, ha avuto dubbi: la scelta è tra democrazia, anche la più retoricamente definita, e la fine delle libertà. A partire da quella di pensiero. Se al governo c’è stata quell’alchimia di libertinaggio privato e pubbliche oppressioni, che abbiamo vissuto in questi 5 anni, in discussione non sono le scelte, ma quel che si è e da quale parte.
A spoglio concluso e considerati i risultati una certezza si va facendo sempre più strada: nessuna conquista democratica in questo paese può considerarsi una svolta definitivamente acquisita, e la sua difesa non può che risiedere nell’esercizio di una democrazia partecipata. Due parole che riassumono l’attenzione alla quotidianità dei diritti, interfaccia del dovere di altri e del proprio. La consapevolezza che dove c’è uno squilibrio c’è qualcosa da pretendere o inventare. La cura di noi stesse nel riconoscimento dell’altra e dell’altro, la cura del territorio: uno stile che rappresenta la strada obbligata, l’alternativa al malgoverno in ogni direzione.
Per le associazioni femminili, per il femminismo in generale, la pratica del controllo e della denuncia è stata la base d’ogni crescita verso la propositività che ha materializzato una cultura altrimenti impraticabile diritti umani e di cittadinanza altrimenti impensabile. Non è di generosità che si parla, ma di necessità, difendere la possibilità di crescita, è l’unico modo di non andare al disfacimento civile, fondando su una pratica responsabile, nella quale, dalle donne, sembra, ci sia da imparare per tutti.
L’UDI, che ha camminato sull’idea della democrazia praticata, prima ancora che fosse guadagnata per tutti, tra condivisioni e lacerazioni, mantiene tutt’ora, tra le altre soggettività, un’identità comune certa, che lascia emergere un ruolo da valorizzare, esemplare di una pratica irrinunciabile, al punto in cui siamo, senza alternative. Non abbiamo nemmeno bisogno delle parole per dirlo, siamo noi, ne parliamo essendoci.
(17 maggio 2006)
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