A tutto schermo - Terzo Oscar a Meryl Streep per la straordinaria interpretazione della Thatcher nel film“The Iron Lady”
Colla Elisabetta Lunedi, 02/04/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2012
Ci sono attrici che non temono il passare del tempo ed il cui talento sembra sfidare la perfezione nel corso degli anni: una fra tutte è senza dubbio Meryl Streep, simbolo di una recitazione raffinata ed impegnata al tempo stesso, che ci ha regalato tante magnifiche interpretazioni di personaggi femminili, fin dagli anni Settanta, quando si rivelò al grande pubblico con film quali Il Cacciatore, (1978), di Michael Cimino, con Robert De Niro, e Kramer contro Kramer (1979), con Dustin Hoffmann, che gli valse il primo Oscar come attrice non protagonista. Esile, bionda, apparentemente distaccata, la Streep, il cui vero nome è Mary Louise, classe 1949, di origini olandesi, svizzere e irlandesi, laureata in Arte drammatica, sembra incarnare da sempre l’antidiva per eccellenza, semplice, misurata ed intensa, calata pienamente nei ruoli impersonati, spesso drammatici: donne forti, capaci di grandi sentimenti che covano sotto la cenere, resi mirabilmente vividi dalla Streep attraverso lo sguardo etereo e sfuggente, la sfumatura mimica del volto, del gesto, la strozzatura della voce, il sorriso enigmatico. Indimenticabile interprete, per citare solo i titoli più noti, in La scelta di Sophie, (1982), di Alan Pakula (che gli vale il secondo Oscar, questa volta come attrice protagonista), La Donna del tenente francese (1981), con cui vince un BAFTA al fianco di Jeremy Irons, Silkwood (1983) di Mike Nichols (altra candidatura all’Oscar), La mia Africa (1985) diretto da Sidney Pollack con Robert Redford, Un grido nella notte (1988), Palma d’Oro a Cannes per la miglior interpretazione femminile, La casa degli Spiriti (1993), dal romanzo di Isabel Allende, I Ponti di Madison County (1995), per la regia di Clint Eastwood, Meryl Streep inizia a virare verso la commedia tra la fine degli anni Ottanta e i Novanta, con pellicole come She-Devil (1989), La morte ti fa bella (1992) e, negli anni Duemila, Il diavolo veste Prada e Mamma Mia!, sempre continuando a frequentare registi del calibro di Altman, in Radio America (2006) e di Redford, in Leoni per agnelli (2007). Dopo tanti successi di pubblico e critica, 26 nomination e 8 vittorie nei premi cinematografici più importanti, la Streep ha vinto di recente il suo terzo Oscar con l’ultima, straordinaria interpretazione di Margaret Thatcher nella pellicola The Iron Lady, diretta da Phyllida Lloyd (la regista di Mamma Mia!). Il film, raccontando una Thatcher ormai ottantenne, affetta da una galoppante demenza senile, che la induce a dialogare col marito già morto (l’attore Jim Broadbent) e ad avere consistenti vuoti di memoria (peraltro ispirati a concretezza biografica), utilizza l’alternanza di sogno-realtà, passato-presente, per evidenziare ricordi politici e della carriera dell’ex-Primo Ministro britannico, dai difficili inizi con il Partito Conservatore (unica donna al Parlamento nel suo tempo), alle monolitiche decisioni che la resero invisa a molti, nel suo stesso Partito, alla vita privata quasi completamente sacrificata in nome della Ragion di Stato. Se il film, come scelta di campo secondo alcuni opinabile, utilizza l’escamotage della perdita di memoria della Thatcher, partendo dalla sfera privata e dagli stati confusionali della statista, più per descriverne il percorso biografico che per prendere posizione e dare giudizi politici sul suo operato (pur soffermandosi su alcuni ben noti episodi che la fecero odiare dall’opinione pubblica mondiale ma comunque rieleggere in Gran Bretagna), di certo riesce pienamente nell’intento di consacrare Meryl Streep al livello della sua probabilmente più riuscita identificazione in un ruolo, nella sua pur lunga carriera: l’intero film ruota infatti intorno a lei, Meryl/Margaret, aiutata in questo dai bravissimi acconciatori e truccatori J. Roy Helland e Marese Langan, e dalla geniale metamorfosi realizzata grazie alle protesi disegnate da Mark Coulier (nella parte della Thatcher, giovane candidata e neo-sposa, la brava Alexandra Roach, non troppo somigliante ma piena di buone intenzioni). C’è solo da augurare alla Streep, immarcescibile eroina dell’immaginario cinematografico di ormai diverse generazioni, che preservi una felice longevità professionale, continuando a regalarci ottime interpretazioni ed a coltivare i suoi interessi per le tematiche ambientaliste, come co-fondatrice dell’associazione a sostegno dei consumatori ‘Mothers and Others’, e per la tutela ed i diritti delle donne e bambine di tutto il mondo, attraverso l’operato a sostegno delle organizzazioni “Equality Now” e “Women for Women International”.
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La sorgente dell’amore
Esce finalmente in Italia un prezioso film, presentato a Cannes, La sorgente dell’amore (La source des femmes), di Radu Mihaileanu, che racconta la storia di un piccolo villaggio, da qualche parte tra Africa e Medio Oriente, dove le donne, stanche di andare a prendere l’acqua ad una sorgente in cima alla montagna, trascinando sotto il sole pesanti secchi, causa di incidenti ed immani fatiche, decidono di iniziare uno ‘sciopero dell’amore’ finché gli uomini, che passano le giornate al bar, non costruiranno una rete idrica. Tratto da un fatto di cronaca avvenuto in Turchia nel 2001, il film evidenzia i pregiudizi e la violenza legati al tentativo di scardinare le tradizioni e l’utilizzo della religione come baluardo per mantenere le donne in condizioni di soggezione. “La rivolta delle donne è guidata da Leila, che ha vissuto l’esilio ed è più libera delle altre - dice il regista Radu Mihaileanu, già autore de Il Concerto e Train de vie - ed è l’unica sostenuta dal marito maestro. Le donne nei Paesi del Maghreb e nel mondo arabo hanno sempre più accesso all’istruzione ed arriveranno presto ad avere posti di responsabilità nelle società arabe, inoltre sono convinto che sia giunto il momento, per le donne, di guidare vere rivoluzioni non-violente, perché gli uomini sono spesso incapaci di non violenza e lucidità”.
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