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Grande genio, eterna inquieta

Grande genio, eterna inquieta

Goliarda Sapienza - Un riconoscimento tardivo per una intellettuale per troppo tempo ignorata

Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2006

Goliarda Sapienza è un nome già conosciuto dalle lettrici di 'noidonne'. Appena un anno fa Giulia Salvagni firmava un articolo su “L’arte della gioia”, romanzo ancora quasi sconosciuto in Italia, ma acclamato in Francia con straordinario successo di critica e di pubblico. Nel più lontano maggio 1998 Adele Cambria invocava proprio su questo giornale il miracolo che finalmente i critici si accorgessero della grande scrittrice siciliana, morta a Gaeta nel 1996.
Ecco, il miracolo è accaduto e oggi Goliarda Sapienza – scoperta anche in Italia, dopo che in Francia e in Germania - ci appare resuscitata, anzi più viva che mai: come la sua protagonista, Modesta, donna libera e anticonformista, e “principessa” in una Sicilia al tempo stesso retrograda e in fermento nel periodo che va dal primo Novecento fino agli anni Sessanta. Più viva che mai come la Goliarda che possiamo leggere e riscoprire nei sei romanzi del ciclo autobiografico: “Lettera aperta”, “Il filo di mezzogiorno”, “Io Jean Gabin”, “L’università di Rebibbia”, “Le certezze del dubbio”, “Appuntamento a Positano”.
Sono sicura che Goliarda avrebbe apprezzato il caldo e piovoso pomeriggio di ottobre, “l’appendice estiva che sempre indugia nel cielo di Roma” (da “L’università di Rebibbia”), che la Fondazione Olivetti ha dedicato alla sua opera invitando critici letterari, giornalisti e testimoni. E proiettando il documentario che ha contribuito alla scoperta sia della singolare personalità sia dell’opera di Goliarda Sapienza "L'arte di una vita", di Loredana Rotondo, regia di Manuela Vigorita, dalla serie "Vuoti di memoria" prodotto da Rai Educational nel 2004.
Sono sicura che una giornata così avrebbe riscaldato il cuore di Goliarda innamorata dei tramonti, dei paesaggi e persino dell’aria di Roma, città in cui ha abitato per quasi 50 anni. Mentre la sua opera veniva paragonata a imponenti romanzi come “Il Gattopardo” e “Orcinus Orca”, affermando anche che “tutti i critici letterari presto dovranno riconoscere in Modesta la figura femminile più importante e più bella di tutto il Novecento Italiano”. Goliarda, se fosse stata presente, non la immagino ferma ad annuire: appoggiata a un cornicione, magari fumando, si sarebbe a tratti affacciata alla finestra per non perdersi il cielo (“nuvole così ci sono solo a Roma”), per godersi ogni istante possibile di gioia vera e per continuare a sentirsi “degna di questa libertà di inventarsi la vita”.
In un mirabile intreccio di idealismo, invenzione, instancabile aspirazione ad una autentica libertà e minuta osservazione della complessità e ambivalenza della vita, ciò che distingue Goliarda Sapienza da altri/e intellettuali del Novecento è l’estrema coerenza tra la sua opera e la sua personalità umana. Se è vero che la sua opera, anche quando non autobiografica, è “trasfigurazione, trasposizione di tanta vita che le appartiene” (come ha detto Angelo Pellegrino, curatore della sua opera e marito), è anche vero che la sua esistenza è stata una sorta di “laboratorio” di pratica letteraria e politica. La sua protagonista, Modesta, “più brava di me”, affermava Goliarda, è un esempio di donna abile a districarsi nelle difficoltà dell’esistenza, una donna libera e completa, forse ideale, ma non a tal punto da divenire irreale: ricca di qualità e limiti, eroina e antieroina al tempo stesso. Forse Modesta è l’alter ego di Goliarda senza le sue crisi depressive, che di tanto in tanto la facevano sprofondare nel senso di incertezza e inadeguatezza. Ma lei era fatta così: preferiva vivere fino in fondo piuttosto che costruirsi certezze intorno (deve addebitarsi anche a questo la causa del ritardo del suo riconoscimento?).
Goliarda era una donna che non si sarebbe lasciata incastrare da nessun tipo di “sistema”, neanche quello del riconoscimento professionale. E una scrittrice concentrata a scoprire giorno dopo giorno le misteriose potenzialità di una scrittura letteraria profonda e attenta. Scoprire, come nel caso di “L’arte della gioia”, in che modo il racconto di una saga famigliare siciliana, possa raccontare la storia del secolo Ventesimo da un punto di vista altro: il punto di vista di una donna saggia, che sfida attimo dopo attimo la cultura patriarcale, fascista, mafiosa e oppressiva in cui vive.
Una sfida appassionata, svolta tramite relazioni umane e che non si lascia “trascinare nel panico che ti prende come tutti gli intellettuali solo all’idea di mettere in pratica le teorie tanto enunciate” (da “L’arte della gioia”). Come ha detto Clara Jourdan, durante l’incontro alla Fondazione Olivetti: “Modesta sposta il punto di vista della politica maschile perché è una donna che si mette in gioco a partire da sé e dal suo essere in relazione. Il suo percorso di vita si snoda attraverso le relazioni umane vissute sempre con intensità, … una storia di vita che si può intendere come la rappresentazione dell’infinito diverso femminile, non dalla bontà femminile: un universo con al centro il desiderio femminile e costituito essenzialmente da relazioni.”
Dopo Jourdan, Adele Cambria (nominata nel testamento di Goliarda: “Per le amiche, una su tutte, Adele Cambria, il mio amore eterno”) ha ricordato il “dramma” di Goliarda di avere avuto due genitori eccezionali, due rivoluzionari nel vero senso del termine: il catanese Peppino Sapienza, “avvocato dei poveri”, noto socialista e antifascista e Maria Giudice, prima donna segretaria di una Camera del Lavoro (a Torino), direttrice di “Il Grido del popolo” di Antonio Gramsci, incarcerata nel 1917 per avere distribuito volantini contro l’intervento in guerra, rilasciata in seguito all’amnistia alla fine della guerra, e inviata in missione segreta in Sicilia allo scopo di volgere al socialismo i contadini siciliani in rivolta. Avere avuto una madre così ed essere nata nel 1924! Ma anche il padre non scherzava (insiste Cambria) come trapela da una lettera scritta alla figlia dal carcere, in cui fu rinchiuso durante gli ultimi rigurgiti dei fascisti siciliani, dal marzo al maggio 1942. La giovanissima Goliarda si trovava a Roma insieme alla madre (che nel periodo dell'occupazione di Roma si sarebbe nascosta nei posti più impensati per sfuggire alla polizia nazista che la ricercava) e si preparava a debuttare “Così è se vi pare”, che Peppino Sapienza nella lettera definisce “uno dei soliti scherzi pirandelliani”, del tutto privo di “quel patema d’animo che l’attore deve trasmettere al pubblico”. Se in fine la serata non sarà un successo, aggiunge, “la colpa è vostra perchè nessuno dirà che la commedia è una boiata, Pirandello è un intellettuale e poiché tutti vogliono apparire tali nessuno lo critica”. E dopo questa sferzata invitando la figlia a fare interamente la propria parte, sapendola capace di estrema perizia teatrale, conclude: “non fare la modesta tu non hai nulla da invidiare alle più grandi attrici passate e future che di presenti non ce ne sono”.
Un’aspettativa genitoriale così alta non necessita ulteriori commenti: ne poteva venir fuori un grande genio come un’eterna inquieta. E Goliarda è stata entrambe le cose!
Il dramma – nel senso completo del termine - di Goliarda, raccontato mirabilmente nel ciclo autobiografico, consiste nell’essere vissuta fin da bambina camminando come un funambolo nel crinale tra condizioni contrastanti: da una parte la Sicilia in cui è nata e cresciuta e dall’altra la madre lombarda, sindacalista e femminista; da una parte grande capacità artistica ed espressiva, da attrice prima che da scrittrice, dall’altra una constante inquietudine che la portava a mutare i suoi interessi; da una parte la scelta di chiudersi in un rapporto sentimentale e professionale esclusivo come quello con il regista Citto Maselli durato 17 anni, dall’altra il senso di una libertà estrema che poggia sulla fiducia, respirata in famiglia, in un avvenire più giusto e da un’altra parte ancora l’estrema fragilità che la induceva a pensare spesso al suicidio e a mettersi in mano a troppi dottori (ha persino subito l’elettroshock). Contrasti che hanno arricchito la sua personalità e la sua arte, pur nella estrema sofferenza, ma sempre nel dono di percepire l’esistenza umana e tutto della vita con estrema intensità.
(29 novembre 2006)

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