Una storia vera - Girovaga, musicista e fotografa, uno spettacolo e una mostra sulla vita della Prato
Mirella Caveggia Lunedi, 15/03/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2010
Un nuovo racconto teatrale è zampillato al Garybaldi di Settimo Torinese, il piccolo palcoscenico di provincia che ha viso nascere l’arte della narrazione teatrale con Gabriele Vacis, Marco Paolini e Laura Curino. Interpretato dall’autrice del testo, Monica Bonetto, ‘Gli occhi di Leonilda’ è un monologo delicato e ironico dove si narra una storia vera, venuta fuori per caso all’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo. Ne è protagonista Leonilda Prato, una fotografa nata a Pamparato, in quel di Cuneo, nel 1875. La vicenda di questa donna di paese dedita ad un mestiere all’epoca solo maschile, dotata di grande forza e di un talento eccezionale, è illustrata anche da una mostra che ingentilisce lo spettacolo con i ritratti di donne, uomini, bambini e vecchi, incontrati nel corso di una vita girovaga, piena di espedienti per rimanere a galla dopo le sconfitte della vita. Innamorata e poi sposa di un musicante, bello ma orbo e squattrinato, vagabondo e sognatore, Leonilda, che sogna di conoscere il mondo e trova la musica “bella come la vita”, va in giro a suonare e a cantare con lui per il Piemonte, la Lombardia, la Svizzera. Con poche cose in un borsone, piccola e minuta, viaggia leggera, memorizzando canzoni, lingue, sorrisi. La coppia si guadagna da vivere, sostando nelle piazze dei villaggi: con la chitarra e il mandolino lei, con la fisarmonica lui. E mentre i due musici di strada si affinano e diventano artisti veri, riconosciuti, i quattro figli, nati con cadenza regolare, sono allevati dai parenti.
Un bel giorno arriva la folgorazione: un artigiano della fotografia, che ha intuito il talento della donna, le insegna il mestiere e le offre la sua attrezzatura. Lei capisce che quella è un’arte da rubare. Aggiunge al suo bagaglio una macchina fotografica, un cavalletto, carte e lastre, qualche coperta damascata per il fondo e si mette a far ritratti su richiesta dopo i concertini. La novità ha successo e si moltiplicano le foto in cui lo sguardo di Leonilda ha fissato dignità, pudore, fatica e lampi di emozione in tanta gente semplice, ruvida e gentile.
Le muore un figlio sul fronte, il marito si ammala e lei deve sbarcare il lunario inventando sempre qualcosa oltre alle fotografie, dal piccolo commercio all’allevamento delle galline. Quando resta sola a 70 anni e torna al paese, di fronte alla povertà vende tutto, tranne l’attrezzatura e continua nel suo mestiere in cambio di poche lire o di cibo. Ma non si farà mai pagare per fotografare quanto serve per i documenti falsi dei partigiani. Morirà nel 1958, lasciando vecchie foto sciupate e stupende.
Lo spettacolo che ha le stesse scintille di poesia che luccicano nella mostra, che si deve alle appassionate ricerche dell’autrice-attrice e di Mariella Milano, merita di essere visto; brava è l’interprete, precisa risulta la regia di Massimiliano Giacometti, suggestiva nella sua fresca semplicità la scenografia di Monica Chiappara e mesto e struggente il suono della fisarmonica di Beppe Rizzo, muto ed efficace compagno di scena.
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