U.S.A al voto - Non è vero che essere donna le assicura quel 54% di elettorato femminile votante. Blog, femminisite, scrittrici e giornaliste di punta la ritengono una fredda calcolatrice.
Lùcia Borgia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2007
Sulla maglietta è scritto: “I hate Hillary”. Odio Hillary. “Mettila, mettila” mi dicono due amiche del NOW. Non ci penso nemmeno. Non so se sia davvero “cinica, opportunista, ignorante, machiavellica”. So che allora i nostri armadi se ne dovrebbero cadere di magliette col nome di uomini. Attaccare la prima donna ad avere reali possibilità di diventare la persona più potente del mondo mi sembra molto brutto. E molto triste.
La scena è avvenuta il mese scorso a New York. Dall’Italia cerco di continuare a tenermi informata sulle faccende americane. Ma, come avviene, sul campo si trovano sorprese. Dunque riferirò le mie impressioni di prima mano.
Fin dal momento in cui l’ex first lady si è candidata alla nomination democratica per la presidenza degli Stati Uniti sono comparsi siti e blog di “Hillary Haters”, Odiatori di Hillary, che pubblicizzano magliette e altri gadget ostili. Le campagne elettorali americane sono di una brutalità da mozzare il fiato: niente viene trascurato dagli avversari, che mobilitano investigatori privati, bloggers, militanti per scoprire bugie, amanti veri o presunti, tasse evase. Hillary sembrava avere due vantaggi. Primo: la vita sua e della sua famiglia è stata già rivoltata come un calzino negli psicodrammi degli anni ’90 (Monica, ma non solo). Secondo: essere donna. Nel ventilatore è difficile mettere il fango della calunnia con attacchi che suonino offesa al genere. A meno che…A meno che non arrivino da altre donne, come sta avvenendo. Quel 54% di elettorato femminile votante è la maggiore delle incognite delle elezioni presidenziali del 4 novembre 2008. Quasi tra due anni. E due anni sono un’eternità. Lo stereotipo vuole che la base elettorale di Hillary Clinton (Rodham, il suo cognome da ragazza, si è perso per strada) sono le donne. In realtà ci sono parecchi distinguo. Dopo l’affare Lewinsky è diventata l’icona della moglie tradita. Per le americane della middle class, le meno acculturate, rappresenta quello che vorrebbero saper essere in caso di tradimento. Queste donne (elettrici) volevano che si tenesse il fedifrago per usarlo e spremerlo. Che lei l’abbia fatto politicamente le manda in sollucchero..
All’opposto, la maggior parte delle femministe, le giornaliste di punta come Maureen Dowd, editorialista del New York Times, le scrittrici, come la guru Camille Paglia, la odiano da sempre, ritenendola una fredda calcolatrice. Una che si è arrampicata sulle corna fino al Senato e ora punta alla riconquista della Casa Bianca. Per sedersi nella Sala Ovale, sulla poltrona che è stata del marito, con a fianco la valigetta dei bottoni atomici, la prima cosa che viene data al nuovo presidente in quanto Commander in Chief. Nel frattempo, Bill raccoglie soldi per lei, persino suonando il clarinetto. Il presidente degli Stati Uniti deve essere capace di scelte storiche. Qui non stiamo parlando del sindaco di Boston o di Kansas City. La domanda di fondo è non solo se l’America è pronta per il primo presidente donna, o per il primo presidente nero. Ma se questa donna, questo uomo, sarebbero capaci di mostrare uno spessore politico all’altezza del più grande potere del mondo.
(17 aprile 2007)
Lascia un Commento