Crisi economica e Vaticano - Bagnasco tuona contro l’evasione fiscale. Ma la Chiesa non rinuncia ai suoi privilegi fiscali, educativi e immobiliari
Stefania Friggeri Lunedi, 31/10/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2011
Nel 2008 di fronte alla crisi dei subprime ci avevano consolati dicendo che poteva rappresentare l’occasione per modificare le regole del “finanzcapitalismo”: non è stato così, e chissà se la crisi che oggi strangola l’Italia sarà l’occasione storica per riformare i rapporti Stato-Chiesa secondo criteri di equità e giustizia. Al momento, fine agosto, dalla Chiesa escono solo parole di vittimismo e accuse di pregiudizi anticlericali, eppure anticamente l’oro e i beni dei templi venivano offerti alla città in caso di assedio o per riscattare i prigionieri. E il monito del card. Bagnasco contro l’evasione fiscale risulta stonato: perché, invece di ammonire come d’abitudine, non ha dichiarato la disponibilità della Chiesa a vendere parte di un immenso patrimonio immobiliare (20% di quello italiano) come ha fatto la Chiesa ortodossa in Grecia? Essendo i privilegi del Vaticano un tabù, la disinformazione è quasi generale, ma con la crisi ha trovato ascolto la voce dei radicali, delle associazioni laiche e cattoliche del dissenso che chiedono l’abolizione o la revisione del Concordato. Pax Christi, ad esempio, chiede la smobilitazione dei cappellani militari che nel 2005, ultimo dato noto, ci sono costati 11 milioni; e lo stesso Bagnasco, ordinario generale di corpo d’armata, percepisce una pensione di 4000 euro mensili. E’ vero, la Chiesa offre svariati servizi (mense, scuola, sanità) e lo rivendica, ma questa millanteria sarebbe giustificata se l’erogazione dei servizi non fosse pagata coi soldi dello Stato che potrebbe utilizzare le somme risparmiate per i propri compiti istituzionali. E infatti questo sistema contribuisce a creare nei cittadini risentimento verso lo Stato, inadempiente, e riconoscenza verso la Chiesa, caritatevole; al cui interno infatti c’è anche chi ne abusa per fare propaganda, politica e religiosa. Ma i servizi offerti dalla Chiesa quando il potere era nelle mani del principe (ricoveri, ospedali, scuole) oggi i cittadini di una società democratica, non più sudditi passivi e rassegnati, li pretendono dallo Stato cui è assegnato il compito di erogarli universalmente attraverso la riscossione delle tasse. Infatti l’idea solidaristica ed umanitaria della Chiesa, su base volontaria e privata, è stata superata dall’idea dei diritti del cittadino, almeno così risulta a leggere la Costituzione. Dove comunque il centrosinistra, con la riforma del titolo V ispirata ad una visione solidaristica del sociale, ha promosso la valorizzazione di tutte le forme sane di autonomia; anche se il modello di sussidiarietà di Formigoni porta al dimagrimento dello Stato e al potenziamento del privato (Comunione e Liberazione e company), come stigmatizza F. Monaco: “gruppi e comunità, magari omogenee ideologicamente, si organizzano nel segno della separatezza e dell’autosufficienza, prevedendo dalle istituzioni solo provvidenze e beni strumentali”. “Vogliono tassare la beneficenza” lamentano i giornali cattolici, e invece ancora oggi rimane valido il principio cardine della normativa tributaria del ’29 che prevede l’esenzione fiscale per qualsiasi immobile avente finalità di culto o dove vengono svolte attività di rilevante valore sociale. Ed è qui che si aprono enormi spazi di elusione ed evasione fiscale. Gli innumerevoli casi di concorrenza sleale, finiti in tribunale, hanno portato la Cassazione nel 2004 a precisare che l’esenzione va applicata solo se l’intero fabbricato è destinato ad attività non commerciali. Interviene allora prontamente Berlusconi con una misura ad hoc grazie alla quale il solo comune di Roma nel 2005 perde 25 milioni di euro: basta una cappella dedicata alla preghiera per salvarsi dalle tasse (vedi il caso famoso dell’ex convento delle suore brigidine, in piazza Farnese, trasformato in un hotel a 5 stelle). La concorrenza allora si rivolge a Bruxelles che condanna l’Italia ad una multa salata per aiuti di stato, costringendo il governo Prodi ad introdurre un correttivo: nel decreto Visco-Bersani (2006) sta scritto che le attività esenti sono quelle che non hanno natura “esclusivamente” commerciale. E grazie a questo avverbio tutto può continuare come prima. In un clima nebbioso e compiacente: ai turisti, pardon ai pellegrini, l’Opera Romana Pellegrinaggi offre non solo l’albergo ma anche 7 pullman a due piani di cui sappiamo qualcosa solo grazie alla denuncia di una hostess stufa di essere pagata in nero. Se questo è il contesto, come stupirsi allora se diminuisce il numero dei sacerdoti ma aumenta in modo esponenziale la quota dell’8 per mille, da 210 mln. nel 1990 a 1.118 mln di euro nel 2011? Eppure, anche se l’art. 29 della legge 222 prevede la convocazione ogni 3 anni di una commissione paritetica per rivedere la somma del gettito, l’8 per mille è rimasto 8 e gli atti della commissione sono coperti dal segreto di Stato! E in ogni caso, grazie al truffaldino meccanismo suggerito a Craxi da Tremonti, sulle quote non espresse la CEI con il 35% dei consensi ottiene l’85% dei soldi (vedi Noi Donne, giugno 2008). Ancora: le confessioni religiose che hanno firmato un accordo con lo Stato non possono accedere all’8 per mille perché le “intese” non vengono portate in Parlamento per l’approvazione finale (un caso?); ma in ogni modo non ci sarebbe nessuna proporzione nei mezzi di propaganda fra la Chiesa cattolica e l’Esarcato ortodosso; lo Stato infine non solo evita qualsiasi forma di pubblicità, ma neppure informa i contribuenti degli scopi che intende raggiungere con le quote che gli vengono destinate (chi sapeva dei restauri a l’Aquila?). E se alle più note regalie alla Chiesa (8 per mille e ICI) aggiungiamo le dispense dall’IRES, IVA, IRAP, dai diritti doganali e daziali per merci estere dirette al Vaticano o ai suoi istituti, i 245 mln per le scuole private (più i buoni scuola e gli stipendi agli insegnati di religione), i circa 100 mln. per i cappellani negli ospedali, carceri e caserme (ma a loro non basta l’8 per mille?), i 14 mln per la stampa cattolica e altro ancora, come stupirsi che lo Stato italiano paghi le bollette dell’acqua che l’Acea fornisce allo Stato della Chiesa?
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