Egitto - L’opinione pubblica ritiene l’omosessualità socialmente inaccettabile. Per la comunità LGBT egiziana è caccia alle streghe
Zenab Ataalla Sabato, 31/01/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2015
È salito a centocinquanta il numero delle persone accusate di omosessualità e condannate a detenzione nell’ultimo anno in Egitto. A denunciare la drammatica situazione è l’associazione indipendente che si occupa di diritti umani, la Egyptian Initiative for Personal Rights (http://eipr.org/en) che ha sottolineato come l’anno appena trascorso sia da considerarsi l’anno peggiore in assoluto per la comunità LGBT del Paese. Sebbene l’omosessualità non sia di fatto vietata in Egitto, e nel Codice Penale non sia formalmente previsto alcun reato ad essa associato, l’anno appena trascorso ha visto gli omosessuali egiziani letteralmente presi di mira dal nuovo governo e accusati non solo di perpetrare comportamenti immorali, ma anche di essere istigatori della prostituzione altrui. Se fino all’era Mubarak la situazione era stata tacitamente tollerata, tanto più se non veniva alla luce del sole, dallo scoppio della rivoluzione del 2011 e in particolare con l’elezione del Presidente Al Sisi la realtà è nettamente peggiorata. Il nuovo governo sembra volersi servire della comunità LGBT per stabilire un nuovo corso politico e mettere a tacere quanti lo accusano di essere troppo occidentalizzato, con l’intento di rafforzare in questo modo la sua posizione non solo nei confronti dei Fratelli Musulmani, ma anche dei Paesi arabi limitrofi. Un vero e proprio giro di vite che fa montare la paura in chi vorrebbe vivere con serenità il proprio orientamento sessuale ma non ci riesce, come ci confida Mahmoud, un ragazzo che abbiamo avuto modo di incontrare in un bar vicino a piazza Tahrir, zona centrale del Cairo e centro nevralgico della rivoluzione. “In Egitto essere gay o lesbica significa portare addosso uno stigma. Significa macchiare l’onore della famiglia. E questo la dice lunga su come io e tutti i miei amici possiamo vivere la nostra sessualità. Non ci siamo solo ‘noi’, ma ci siamo ‘noi’ inseriti all’interno della società egiziana. Ed è proprio questo il problema perché ogni nostra azione ha inevitabilmente una ripercussione sociale - racconta Mahmoud, che continua -. Per quello che mi ricordo non ho mai visto in Egitto un atteggiamento così repressivo nei confronti della comunità LGBT come quello che si sta verificando negli ultimi anni”. Mahmoud si riferisce chiaramente ad alcuni fatti di cronaca recente, repliche di un antecedente celebre, che risale a più di dieci anni fa, quello del ‘Queen Boat’. A maggio del 2001 la polizia fa irruzione su questa imbarcazione ancorata sul Nilo. In seguito alla retata vengono arrestate più di cinquanta persone. L’accusa ufficiale mossa alla maggior parte dei partecipanti è quella di “corruzione abituale” e “condotta oscena” in base all’articolo 9C della legge 10 del 1961 che punisce ancora oggi la prostituzione. Nonostante la costruzione delle accuse su altri reati, è chiaro fin dal primo momento che il motivo degli arresti è l’orientamento sessuale dei ragazzi.
Questo episodio è analogo a quelli avvenuti di recente. Nell’estate del 2014 cinque ragazzi vengono arrestati con l’accusa di “dissolutezza” per aver postato un video di un presunto matrimonio gay su You Tube. I cinque ragazzi, ancora oggi in carcere, possono rischiare fino a diciassette anni di reclusione. Risale invece al dicembre scorso la notizia dell’arresto di trentatre uomini accusati di “perversione” in seguito ad una retata in un presunto hammam omosessuale nel quartiere cairota di Ezzbekiya. Mahmoud ha paura di parlare, perché non sa chi ci può ascoltare. “Bisogna stare attenti a quello che si dice, a come ci si comporta perché anche se non lo vedi, sai che può esserci qualcuno che può seguirti e spiarti e nel peggiore dei casi denunciarti alle autorità. E se questo succede, la tua vita è finita. Soprattutto se provieni da una famiglia povera, - e conclude - è inutile dire che in Egitto l’omosessualità non verrà mai accettata. Non si tratta solo di una questione religiosa. Non si tratta di essere musulmani o cristiani. La società tutta non accetta l’omosessualità”. Le parole di Mahmoud sembrano purtroppo confermare a distanza di quasi due anni quanto emerso dal sondaggio Pew Research Center del 2013, secondo cui più del 90% della popolazione egiziana ritiene che un orientamento sessuale che si distacca dall’eterosessualità non debba essere accettato. E se parliamo poi da un punto di vista religioso, va da sé che la religione ha una grande influenza sulle questioni LGBT. Le due religioni dominanti in Egitto, l’Islam ed il Cristianesimo, condannano l’omosessualità. Per entrambe l’essere omosessuale o trans significa avere un’anomalia, scezoz in arabo, che nel peggiore dei casi è da considerarsi una malattia da curare. A questo poi si aggiunge che l’omosessualità va contro la concezione generale di famiglia, come ci conferma un professore di lingua italiana che vive e lavora da anni a Il Cairo e che per ragioni di sicurezza preferisce rimanere anonimo: “In Egitto l’idea di famiglia si basa prima di tutto sull’idea di matrimonio tra un uomo ed una donna. Entrambi hanno un ruolo da rispettare e non si può uscire da questa logica. Parlare di identità di genere e orientamenti sessuali che si distaccano dalla norma può portare a dei problemi, perché non è ammesso nulla che non rientri in questa idea. È una cosa risaputa che esistono gay e lesbiche nella società egiziana, ma meno si affronta la questione meglio è per tutti perché è qualcosa che va contro la morale non solo religiosa ma anche sociale”.
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