Giusi Nicolini. Sindaca di frontiera al servizio dell'umanità
Focus / Otto marzo allo specchio. 3 - Da Lampedusa Giusi Nicolini spiega la sua idea di potere: differenza tra la prevaricazione sull’altro e l’esercizio della responsabilità verso tutti e tutte
Bartolini Tiziana Lunedi, 07/03/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2016
Impegnata da sempre nelle battaglie ambientaliste, Giusi Nicolini è stata eletta sindaca di Lampedusa e Linosa nel maggio 2012. Tante le sfide per una donna che da attivista di Legambiente ha combattuto l’abusivismo edilizio e tutelato la spiaggia dei Conigli e che nel ruolo di prima cittadina, oltre alla gestione amministrativa di territori splendidi ma difficili, affronta quotidianamente i naufraghi che arrivano con i loro drammi fuggendo da guerre e fame. A distanza di quattro anni mantiene intatta l’idea di una politica autentica, al servizio della collettività e rispettosa della dignità delle persone. E una lucidità nel valutare il senso profondo delle conquiste delle donne.
Attraverso le testimonianze di migliaia di uomini e donne che continuano ad approdare a Lampedusa lei ha modo di entrare in contatto con una umanità dolente che si mette in cammino anche accettando la sfida 'dell'ignoto' . Ci sono differenze nella scelta che spinge le donne, rispetto agli uomini, a lasciare i loro paesi d'origine? ...un diverso sguardo verso il futuro, sentire diversamente le responsabilità nei confronti dei figli... oppure?
Non parlerei di scelte, ma di costrizioni. In un modo o nell'altro, donne e uomini hanno in comune qualcosa da cui fuggire. La guerra, la fame, la violenza, la dittatura. Alcune vogliono raggiungere il marito o fratelli che le avevano precedute. Poi ci sono le giovani donne allontanate con la forza dagli orrori della propria terra, per finire nel commercio della prostituzione. Ma ogni donna ha la sua storia personale, le sue individuali motivazioni. Sono, però, tutte vittime della tratta di esseri umani e il denominatore comune è la paura. Questo è il motore che spinge uomini e donne ad intraprendere un viaggio costellato di incognite, con altissima probabilità di naufragio. Per tutte le donne sole, quei viaggi lungo il deserto, la prigionia e gli stupri, diventano spesso incubi peggiori di quelli da cui sono fuggite. Salire sul barcone, rischiando la morte, è solo l'ultimo gesto disperato.
In questi anni ha visto cambiare le ragioni per cui donne e uomini si imbarcano verso l'Europa per arrivare a Lampedusa?
No. Semplicemente sono progressivamente peggiorate le loro condizioni di vita, sono aumentati instabilità e conflitti nei loro Paesi. In prospettiva, gli effetti dei cambiamenti climatici incideranno sulle migrazioni, dato che esaspereranno le povertà e favoriranno nuove guerre. D'altra parte, la Ue ha intrapreso solo politiche di contenimento dei flussi migratori, senza provvedere alla necessità di riconvertire politiche economiche e di attuare effettive politiche di aiuto e solidarietà verso i Paesi africani. Ed è giusto ricordare che l'Isis non è l'unica realtà che semina terrore e costringe interi villaggi alla fuga. Tutta la comunità internazionale dovrebbe sapere che la pace si costruisce anche impedendo ulteriore sfruttamento di risorse in quei paesi e contrastando il commercio e i traffici di armi.
Anche prima di essere eletta sindaca, lei è stata impegnata in politica e nel sociale in un territorio di frontiera. Alla luce, appunto, di questa sperimentata militanza e dal suo punto di osservazione, che opinione ha in generale dell'attuale, difficile, fase politica internazionale che viviamo?
Vivo ai margini di un'Europa che sembra frantumarsi nel nazionalismo, proprio nel momento in cui invece bisogna sfidare la globalizzazione e dotarsi di politiche comuni. Eppure, l'umanità in fuga che attraversa Lampedusa, guarda a questa Europa con speranza e fiducia. Credo che loro abbiano ragione ad avere fiducia.
La Giornata internazionale delle donne rimane una data simbolica, ma è inevitabile osservare che la parola politica delle donne non riesce a farsi sentire e ad incidere. Perché, secondo lei, non c'è un'agenda, anche di massima, intorno alla quale le donne possono riconoscersi e per cui possono battersi tutte insieme e con più forza, come è accaduto in passato?
Come dimostrano le grandi battaglie e conquiste del passato, le lotte delle donne sono servite ad allargare l'orizzonte dei diritti di tutti, a produrre profondi cambiamenti nella società e nelle relazioni interpersonali. Così la lotta contro la violenza di genere servirà ad affermare che nessun essere umano può essere posseduto, usato e annientato come un qualunque oggetto. Oggi più che mai le donne devono continuare a fare né più né meno di questo: difendere se stesse per difendere tutti, conquistare libertà e diritti per tutti, pretendere che al centro della politica ci sia la persona, la sua dignità, la sua essenzialità e il suo futuro. Devono fare, insomma, quello che oggi serve più di ogni altra cosa.
Comunque donne ai vertici, anche internazionali, ci sono ed esercitano il potere 'vero'. Secondo lei, anche pensando a specifiche figure e ruoli, è rilevabile un approccio femminile nell'esercizio di questi poteri? E c'è, o potrebbe esserci, un minimo comun denominatore al femminile che potrebbe essere la base per (ri)costruire relazioni ed eventuali strategie comuni e al femminile?
È proprio la concezione del potere a fare la differenza, non tanto tra uomini e donne, ma tra chi ritiene di esercitarlo come dominio sull'altro (qualunque sia il suo sesso) e chi ha coscienza del governo come responsabilità, servizio per la comunità, strumento ed occasione per migliorare la vita di tutti. Mi piace pensare a tante giovani donne e giovani uomini che in giro per il mondo stanno restituendo dignità, umanità e bellezza alla politica. E, nonostante sia stata e sia una delle più ferree espressioni della Troika, mi piace pensare alla Merkel che decide di accogliere i profughi siriani perché è una statista prima che una donna. Ma non avremo mai la prova del contrario...
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