Lunedi, 17/08/2020 - “C’è un popolo, un popolo a mani nude che si sta facendo massacrare, è il popolo palestinese. Un esercito lo tiene in ostaggio. Perché? Quale causa difende questo popolo e perché gli si oppongono, io affermo che questa causa è giusta e come tale sarà riconosciuta dalla storia”. Gisèle Halimi non conosceva mezzi termini. Forte di una solida reputazione internazionale si era espressa così, dopo l’aggressione israeliana a Gaza, nel 2014. Parole lucide, raccolte in una lunga intervista rilasciata al quotidiano francese l’Humanité, in cui denuncia i massacri in Palestina: “nel silenzio complice della Francia, paese dei diritti dell’uomo, e nel silenzio di tutto l’Occidente americanizzato”. Non aveva paura di essere tacciata di antisionismo per aver criticato il governo di Netanyahu. E in quell’intervista, ripresa dal quotidiano algerino Al Watan, era andata giù pesante come sempre, davanti alla violazione dei diritti del popolo palestinese: “Voglio gridare forte per quelle voci che sono state uccise e per quelli che non hanno voluto ascoltare. La storia giudicherà. Ma non potrà cancellare la distruzione di un popolo. Il mondo non aveva forse sperato che la Shoah avrebbe significato la fine della barbarie?”.
Avvocata e femminista di fama mondiale, Gisèle Halimi, si è spenta a 93 anni, il 28 luglio scorso, dopo aver consacrato la vita dalla parte di chi subisce, siano essi popoli o individui.
Nata da una famiglia povera di ebrei sefarditi, impara presto a sopravvivere in un contesto retrivo e paternalista come poteva essere la Tunisia degli anni ’30, quando le donne non potevano scegliere e nascere femmina era considerato una maledizione. A 12 anni è in sciopero della fame per una settimana. Lotta contro le gerarchie familiari che le impongono di servire i fratelli maschi. “È in quegli anni che ho costruito il carattere e ho capito il significato della parola libertà”, dirà scoprendo che lei, la libertà avrebbe potuto ottenerla solo studiando. A forza di carattere e borse di studio si trasferisce in Francia. Diventa avvocata e poi legale della coppia de Beauvoir-Sartre. Amica di Simone Veil. Partecipa alla difesa dei combattenti del Fronte di Liberazione Nazionale. Sono gli anni della guerra di liberazione dell’Algeria dal colonialismo francese, 1954-1963, e lei è dalla parte del Fronte, contro le torture e gli stupri di guerra, questioni di politica internazionale spinose per l’epoca che le valgono il soprannome di avvocata delle lotte di indipendenza. Spesso è l’unica donna in tribunali militari e la sua fama fa il giro del mondo quando riesce a ottenere la grazia dalla pena di morte per un gran numero di ex guerriglieri, donne comprese.
La consacrazione al femminismo è negli anni ’70, con la firma del Manifesto delle 343 donne che dichiarano di aver fatto ricorso all’aborto malgrado sia un reato penale. L’anno dopo, nel 1972, diventa celebre con la difesa della sedicenne Marie-Claire Chevalier, che in seguito a violenza aveva scelto di abortire. È il processo Bobigny. Un processo epico che insegna alle donne a usare la legge come una arma da guerra. Aprendo la strada alla depenalizzazione - e all’autodeterminazione femminile - in materia di gravidanza e contraccezione. A cui seguirà la legge del 1975. Poi l’impegno terzomondista nel 1998 per la tassazione delle transazioni finanziarie. Nel 2002, per la sentenza israeliana di condanna a vita di Marwan Barghouti, leader di Fatah, noto come - Il Mandela Palestinese, come ha scritto Maurizio Musolino - dice: “Marwan Barghouti appartiene a quei combattenti per la libertà che hanno dato speranza al loro popolo, come Jean Moulin durante l’occupazione”.
Scrittrice e deputata, Gisèle Halimi è stata simbolo dell’intellettuale éngagè, impegnata, in “70 anni di battaglie”, come il titolo del suo ultimo libro, che avrebbe dovuto presentare il 19 agosto a Parigi, per le edizioni Grasset.
Articolo di Emanuela Irace pubblicato il 15 agosto 2020 su Il Manifesto
Lascia un Commento