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Giovannina Morrone, pioniera delle lotte per il riscatto e l’emancipazione

Giovannina Morrone, pioniera delle lotte per il riscatto e l’emancipazione

"Solo la conoscenza vi consente di emanciparvi ed essere liberi"

Martedi, 28/02/2023 - Giovannina Morrone, pioniera con Ferdinando Cianciulli, delle lotte per il riscatto e l’emancipazione, lo sosteneva oltre un secolo fa
“È tutto fatto di abnegazione, di fede e di speranze, il lavoro con cui prepariamo la società nuova”, scriveva nei primi anni del secolo scorso Giovannina Morrone.
Era l’appassionata compagna di vita e di lotta di Ferdinando Cianciulli, pacifista irpino originario di Montella (vi era nato il 17 aprile 1881), intellettuale e dirigente socialista, che già nel 1911 si era schierato contro l’invasione della Libia. Il 2 settembre 1911, nel fondo pubblicato su Il Grido, da lui stesso fondato, esordiva con il prologo: “A Tripoli no! Abbiamo Tripoli in Italia e nei suoi Verbicaro (in provincia di Cosenza, dove durante un’epidemia di colera, un prete locale aveva additato alcune persone come spargitrici nella fontana cittadina, di velenosa polvere di oleandro, aizzandovi contro la popolazione) nelle infamie e nelle vergogne del Medioevo morale ed economico; abbiamo Tripoli nella fame, nell’abbrutimento, nella delinquenza, nella mancanza di acqua, d’igiene, di scuole, di vie. Questo dev’essere il nostro grido contro la tracotanza militaresca e affaristica patriottarda, che vuol preparare una nuova conquista africana, un altro brigantaggio internazionale”.

Giovannina, proveniente da Avellino (capoluogo), era un’insegnante elementare approdata nella “rossa” Montella, così denominata all’inizio del XX secolo, grazie all’impetuosa crescita del movimento socialista, alla forza del sindacato e ai significativi nuclei del pensiero anarchico. Ma a farla diventare ancora più rossa, aveva contribuito il pioniere del socialismo in Irpinia, Ferdinando Cianciulli, colui che sarebbe diventato suo marito, padre delle sue due figlie, impetuoso compagno di lotte e di idee. Tanto coraggioso da assumere posizioni contro il clero più retrivo, le consorterie filogovernative e le radicate clientele locali, che denunciava sia con la sua azione, sia attraverso il suo giornale. Un uomo coerente e scomodo, oggetto di ripetuti attentati, fino a diventare il primo martire della storia politica irpina, assassinato per vendetta privata da un notabile locale (simpatizzante fascista), il 22 febbraio 1922, dopo aver ripetutamente denunciato pubblicamente i mandanti dell’omicidio di una maestra del suo paese natale.
Il legame tra Ferdinando e Giovannina era indissolubile, dettato anche da un sentire comune ideale e civile, che li univa contro le ingiustizie. Bene descrive la figura di Giovannina, Claudia Iandolo ne “Il paese bianco di Isidora vecchia” (Mephite, 2005) evidenziando la figura di una donna forte e fiera, tanto più nelle difficoltà o di fronte ai soprusi.

Giovannina era in prima linea nelle lotte sociali, partecipava attivamente alla costruzione del sindacato e alla creazione di un tessuto cooperativistico e, con i suoi articoli, denunciava le condizioni di vita del proletariato, che incitava a ribellarsi. Nel febbraio del 1911 su Il Grido, denunciava tra l’altro: “La vita del popolo è piena di dolori e di umiliazioni. Il lavoratore non è, come lo dipingono taluni, il contento mortale che passa in pace la vita sua fra il lavoro e la soave intimità della famiglia. Noi figli di popolo che abbiamo comuni i dolori quotidiani, noi che avanziamo lo sguardo verso la luce, vediamo quanto sia gigante la miseria proletaria. Ed è contro questa miseria che combattiamo, animati da un santo pensiero di uguaglianza, di redenzione umana”.

Giovannina era consapevole dell’importanza della conoscenza come fattore di liberazione, tanto che dei sofferenti lavoratori della terra, che rendevano ai ricchi la vita più piacevole, scriveva: “Essi ignorano o spregiano i piaceri che dona lo studio, l’amore pel quale in loro dovrebbe nascere sui banchi della scuola e farsi grande e poi fra i libri ed i giornali. Privi d’istruzione, la loro mente è incapace di pensare a render migliore l’esistenza loro”. Studiare, informarsi, avrebbe finalmente permesso al popolo di liberarsi dalla condizione di oppressione. In prima linea anche nella battaglia per l’emancipazione femminile, alle donne chiedeva di non essere un freno al cambiamento e al progresso, ma al contrario, di esercitare la loro dirompente potenza per cambiare la società. Superare l’ignoranza, spingere e incoraggiare l’uomo alla lotta, a non chinarsi mai davanti alle pressioni di nessuno, voleva dire preparare un mondo migliore per i figli, affinché potessero vivere una vita meno dolorosa, affinché non fossero, come i genitori, macchine da lavoro che producevano ricchezza per gli altri. Giovannina era consapevole delle difficoltà di cambiare la società e ben lo evidenziava nei suoi articoli, dove però si intravedeva anche un raggio di luce, una sorta di speranza per quel sol dell’avvenire, che sia per lei, sia per Cianciulli, non rappresentarono mai solo un’utopia, ma il cimento di un’intera esistenza, votata alla conquista dei diritti umani e civili, primi fra tutti, giustizia e libertà.
Si ringraziano, tra le altre fonti: Annibale Cogliano (Cianciulli e l’Irpinia pacifista), Paolo Speranza, Il Quotidiano del Sud.
Floriana Mastandrea
 

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