Giovanna Marini: Vivere l’Utopia del canto popolare e di una società più giusta
Il mondo della cultura, della musica e tutti i suoi allievi, passati e presenti, piangono la scomparsa di un’artista geniale, ribelle e terribilmente umana. Le sue canzoni e ballate, magnifiche ed originali, vivranno per sempre
Martedi, 14/05/2024 - Quando mi chiamarono dalla Scuola di Musica Popolare di Testaccio, undici anni fa, per dirmi che era finalmente giunto il mio turno nella lista di attesa per partecipare ai Laboratori di Giovanna Marini (Modi del Canto Contadino e inni e Canti di Lotta) rimasi a pensare sul da farsi, erano passati vari anni, avevo preso altri impegni e la motivazione vacillava. Per fortuna accettai: rinunciare sarebbe stato uno dei più grandi errori della mia vita.
In quei primi mesi, in cui non capivo quasi nulla di come cantare la musica popolare, del perché gli spartiti era meglio non usarli e se li usavi era quasi impossibile leggerli, una cosa la capii subito: Giovanna, la nostra Maestra, era una persona ammaliante, intelligentissima e colta, direi magnetica, come artista, insegnante e donna.
Ci insegnava che il canto stridente ad orecchie ‘classiche’ o creatore di ‘urti’ (e quindi di emozioni), le voci nasali e a volte stridule o non perfettamente intonate, costituivano ‘l’ineffabile incertezza del canto non temperato’, di tradizione orale, di cui bisognava mantenere vive le peculiarità: le micro-varianti, i melismi, i timbri, i dettagli di un patrimonio culturale popolare vario, ricchissimo e prezioso che, se non cantato adeguatamente, avrebbe rischiato di essere banalizzato e perdersi per sempre.
Nel coro di Giovanna, una comunità di amici e sodali da lei cresciuta in oltre 40 anni di frequentazione, musicale ed umana, alla Scuola Popolare di Musica di Testaccio (della quale lei è stata una delle fondatrici e più convinte sostenitrici) era sì molto difficile entrare, per la grande quantità di richieste, ma era impossibile, dopo averla conosciuta, volerne e poterne uscire.
Affabulatrice e ironica, pure a volte spigolosa e pignola, sapeva essere diretta, autentica ed umile nel rapporto con gli altri, con gli allievi, con altri musicisti ed intellettuali, coi cantori popolari che, in giro per l’Italia, le trasmettevano (a lei e solo a lei, che andava ad ascoltare le anziane e dagli anziani, sedendosi con loro a chiacchierare) un sapere antico ed esoterico, che si tramandava ritualmente solo agli iniziati (possibilmente maschi).
Altro momento importante del gruppo era il viaggio di Pasqua, dove si raccoglievano, col registratore, i riti e i canti ancora originali delle passioni e della settimana santa. Lì lei gioiva della compagnia del gruppo e dei canti dal vivo, che poi avrebbe trascritto e fatto cantare a tutti noi.
Insegnava la vita e la storia, Giovanna Marini, oltre alla musica popolare, con la leggerezza di uno spirito libero, quello con cui era riuscita a trasferire la sua sapienza musicale di abilissima chitarrista diplomata al Conservatorio ed allieva dei più grandi (fra cui Segovia stesso), al servizio del canto di tradizione orale, cui si accostò quasi per caso ma che subito seppe sollecitare la parte di lei fortemente rivolta al sociale, la sua curiosità ed apertura intellettuale, la sua vitalità di donna e di ricercatrice indomita, sempre attenta, sempre pronta, chitarra alla mano, a cantare, raccontare, suonare, partire.
Giovanna ha avuto la rara capacità sincretica di fondere insieme il suo passato di musicista classica con la musica e il canto di tradizione orale, portando e considerando quest’ultima, come diceva sempre, allo stesso livello dell’altra, perché la seconda non è da meno della prima, anzi, hanno diritto di stare una accanto all’altra.
Fondamentale per la sua ‘rinascita’ musicale fu l’incontro con i Cantacronache (Sergio Liberovici e Michele Straniero, Fausto Amodei), con intellettuali dell’epoca (fra questi Pier Paolo Pasolini, con cui ebbe un intenso scambio e a cui dedicò varie canzoni), con etnomusicologi, studiosi, artisti e simpatizzanti del Nuovo Canzoniere Italiano (Roberto Leydi, Gianni Bosio, Diego Carpitella, Cesare Bermani, Caterina Bueno, Giovanna Daffini, Alessandro Portelli), che le aprirono mondi nuovi ai quali era, evidentemente, e ancora senza saperlo, predisposta.
Neppure la breve parentesi americana (nel periodo in cui fu sposata con un fisico nucleare ed ebbe due figli) la tenne veramente lontana dal suo mondo musicale e preso tornò sulla scena romana.
Anche nel canto politico Giovanna ha saputo raccogliere e trasmettere il meglio degli Inni e Canti di lotta, attraverso i cosiddetti Fogli Volanti, canti o invettive che viaggiavano senza essere scritti, di bocca in bocca, come Addio Lugano Bella, che si dice scritto dall’anarchico Pietro Gori in prigione ma già cantata da tutti (come fosse uscita nessuno lo sa) per accompagnarlo alla partenza dell’esilio.
Lei conquistava tutti con la sua umana, cordiale simpatia, col suo reale e sincero interesse per la Storia collegata ai fatti umani, per le vite degli altri, così magnificamente raccontate in tanti canti e ballate che hanno fatto il giro del mondo: ‘I treni per Reggio Calabria’, ‘Lamento per la Morte di Pasolini’, ‘Le Fosse Ardeatine’, ‘O Venezia’, ‘Ragazzo Gentile’, ‘Cantata per Riace’ (forse l’ultima, stupenda, composizione scritta per le vicende di Riace e l’arresto di Mimmo Lucano), sempre al fianco dei più deboli, degli oppressi, dei migranti, delle donne lavoratrici, contro le ingiustizie globali.
Ci teneva a insegnarci, nel canto delle mondine ‘La Lega’, che la strofa: “sebben che siamo donne, paura non abbiamo, per amore dei nostri figli, per amore dei nostri figli in Lega ci mettiamo”, era la prima da cantare, la più importante, e si arrabbiò moltissimo quando per sbaglio invertimmo le strofe della canzone, perché queste donne dovevano provvedere ai loro figli e per questo si erano costituite in una Lega, le altre strofe erano meno importanti!
Di lei si dice (alcuni lo danno per certo) che abbia scritto parole e musiche di canzoni rese famose da altri, come ‘Contessa’ e ‘Amara Terra Mia’, e delle quali non ha mai inteso chiedere la maternità, felice di condividere la sua creatività e il suo talento con gli amici cantanti e cantautori del Folkstudio (Caterina Bueno, Giovanna Daffini, Paolo Pietrangeli, Ivan Della Mea, Francesco De Gregori) e di mille avventure musicali (fra tutte il famoso spettacolo ‘Bella Ciao’, a Spoleto, che finì in rissa alla frase ‘traditori signori ufficiali’, aggiunta da Giovanna nella canzone ‘O Gorizia’) in un’epoca d’oro del cantautorato italiano dove lei spiccava, come donna, musicista, autrice, riuscendo a conquistare uno spazio unico nel suo genere, che il panorama culturale e musicale italiano non ha mai pienamente saputo valorizzare. La Francia, invece, sua terra d’adozione, ne comprese bene il valore offrendole una cattedra di etnomusicologia all’Università di Paris VIII-Saint Denis, dove insegnò per quasi 10 anni.
Giovanna, l’8 maggio te ne sei andata a cantare in un’altra dimensione, lasciandoci soli e impauriti, sgomenti, alla notizia che non saresti più venuta a raccontarci le tue incredibili storie (sempre uguali ma sempre diverse), a tenerci uniti nel canto e nelle idee, a trasmetterci saperi e immagini di una memoria musicale da preservare ed attualizzare, a fare concerti né apparizioni con noi sul palco del 25 Aprile, contro tutti i fascismi, che non avremmo più goduto della tua gioviale convivialità, a casa di qualcuno o intorno a un bicchiere di vino al baretto di Piazzale Giustiniani.
Avevi 87 anni ma, quando parlavi e ci prendevi ancora in giro con la tua ironia, per le nostre esecuzioni non proprio eccelse (ricordo frasi come: “Bravi, un po’ zucconi ma bravi” o “La vostra ruspantezza l’apprezzo, è buona, ma quando è troppo è troppo” o ancora “Voi cantate la ‘A’ come una fatalità ineluttabile”), o quando raccontavi e spiegavi le storie dei canti durante i concerti, ti brillavano ancora gli occhi e, anche negli ultimi meravigliosi anni della tua vita, ne dimostravi ancora 20 di anni.
Te ne sei andata quasi all’improvviso, nessuno di noi, a te vicino, voleva mai guardare in quell’angolo oscuro, nel quale era scritto che un giorno, lontanissimo, tu saresti partita per un viaggio senza ritorno. Oggi sembra quasi impossibile accettare che non verrai più alla Scuola di Musica di Testaccio per iniziare la lezione con un riscaldamento vocale, dando le note con la mano destra alle donne e con la sinistra agli uomini, e poi lanciarti nell’insegnamento, a volte arduo di quei ‘modi’ di cantare cui hai dedicato la tua vita, mentre le tue mani leggere volteggiavano nella direzione corale, o sulla tastiera della chitarra o del pianoforte, riuscendo a farci cantare ed amare canti difficilissimi da riprodurre (penso a brani come ‘Faciti larighi e fatela passade’), e a volte ostici da ascoltare, ma con un’appassionata e contagiosa tenerezza verso i luoghi, le persone, le donne, le situazioni con cui avevi condiviso il canto e la memoria di esso, indietro nel tempo, prima ancora che tu arrivassi, la memoria delle tradizioni orali di nonni, bisnonni ed avi dei cantori.
Ci mancherai da morire Maestra, non ti abbiamo potuto salutare cantando per la scelta di funerali privati, ma il flusso dei canti e dei modi che tu hai insegnato e praticato, così come con grande generosità hai saputo condividerli con altri, insieme alla tua stessa vita, non potrà fermarlo mai nessuno, sarà come l’acqua che scende e si disperde in mille rivoli, nelle maestre che ci hai lasciato, negli allievi diventati artisti e professionisti, in quelli anziani che insegneranno ai giovani, nei dischi, nei video e nei documentari che ti hanno saputo sapientemente raccontare, nelle ninne nanne e nei canti d’amore, così come nelle canzoni di lotta e protesta, per combattere sempre ma solo in modo non violento: la tua voce ci accompagnerà sempre, insieme agli amici del Coro di Monteporzio e a quelli della Banda Musicale di Testaccio e a tutti coloro che, anche solo per poco tempo, hanno avuto l’onore e la fortuna di incontrarti e frequentarti.
Cercheremo di non deluderti, di mantenerci uniti, di non disperdere tutta l’energia e la potenza della musica popolare che ci hai trasmesso, l’insegnamento che il canto è uno strumento forte contro le ingiustizie, la guerra e l’odio. Di quanto tu fossi importante e di quanto la tua voce fosse dirompente e fuori dal coro si sono accorte anche le giovani generazioni, nuovi allievi che stanno imparando le canzoni da te scritte o quelle che ci hai insegnato perché non morissero, puoi esserne orgogliosa Giovanna! Persino i nostri figli, adolescenti distratti, poco interessati alla cultura e alla storia, sanno a memoria ‘Pietà l’è Morta’, ‘Bella Ciao’ e ‘Festa d’Aprile’.
Per salutarti prendo in prestito le parole di un canto popolare che ci hai insegnato tanti anni fa, raccolto da Caterina Bueno in Toscana negli anni Sessanta, che mi è sempre piaciuto molto, ‘Cinquecento catenelle d’oro’: E cinquecento catenelle d’oro/Hanno legato lo tuo cuore al mio/E l’hanno fatto tanto stretto il nodo/Che non lo scioglierà né te né io/E l’hanno fatto un nodo tanto forte/Che non lo scioglierà neppur la morte”.
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