Login Registrati
Giovani generazioni in esilio

Giovani generazioni in esilio

D COME DIFFERENTI / 1 - Se hai tra i 25 e i 40 anni il posto fisso è un concetto sconosciuto e il futuro ipotecato. Una conversazione con due giovani per capire cosa cambia quando su tre donne (Fornero, Camusso, Marcegaglia) gravano contemporaneamente gr

Dalla Negra Cecilia Lunedi, 12/03/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2012

Diciamolo: che in questo paese ci siano donne a coprire importanti cariche di indirizzo politico fa piacere a tutte. Anche a chi appartiene a una generazione che, forse, quelle posizioni le da per scontate e mai ha nutrito la speranza che potessero fare la differenza. Sfumata la necessità rivendicativa di un ruolo, prende piede piuttosto la verifica del risultato. Essere donna non basta a fare bene, e se l’appartenenza sessuale non è garanzia di risultato, mentre il panorama che hai di fronte è desolante ciò che tendi ad aspettarti è molto più di quanto non si stia facendo. Quella cui appartengono le nostre interlocutrici è una generazione esiliata dal sistema. Tra i 25 e i 40 anni il posto fisso è un concetto sconosciuto, il futuro ipotecato, tanto più se sei una donna. E allora ci si chiede: perché non arriva proprio da quelle donne al potere l’attenzione alle giovani generazioni, e fra loro a coloro che maggiormente risentono della cancellazione di diritti fondamentali, oggi ridotti a mero privilegio? Se infatti la società ha in qualche misura interiorizzato la parità tra uomo e donna, rendendo - almeno in teoria - parimenti accessibile per loro l’ipotesi di una carriera, è però il sistema paese a remare contro ad una sola metà del cielo, imponendo un’inversione di rotta che fa parlare di diritti prima acquisiti, oggi tutti da riconquistare. Quando anche la maternità diventa un lusso, e il diritto a godere di una vita scandita da ritmi naturali è cancellato, si può a buona ragione parlare di ciò che loro chiamano “un’insopportabile intromissione nel privato delle persone”. Enrica Siracusa e Valentina Biagini sanno cosa significa terminare gli studi e avere di fronte l’incertezza. Come migliaia di coetanei in Italia conoscono le dure leggi del precariato e le affrontano, tra tesi di laurea magistrale, specializzazioni, lavori saltuari. Enrica, 29 anni, dopo la laurea in Architettura ha trovato un impiego temporaneo in uno studio professionale: contratto di collaborazione, che tradotto nell’italiano corrente significa 14 ore di lavoro al giorno alla faccia del “part-time” descritto in busta paga. Significa straordinari senza preavviso, domeniche sul tavolo di lavoro per 700 euro netti, mentre i libri per la laurea magistrale si accumulano sulla scrivania di casa. E, quando c’è tempo, di corsa a portare al parco i figli di chi può ancora permettersi di averne. Valentina ha 28 anni, gli ultimi 6 spesi nella facoltà di Fisica in cerca di una laurea che, a giochi fatti, ti offre una prospettiva lavorativa praticamente inesistente. Tra lavori saltuari e ripetizioni in nero si corre verso il meraviglioso mondo della ricerca, con i suoi ricatti e i suoi compromessi “inaccettabili”. Ottenuta con fatica la laurea è un percorso a ostacoli quello che si profila: “Ammesso di riuscire a diventare ricercatore, devi essere disposto a cambiare continuamente città, stato, situazione di vita”. Un precariato che da esistenziale si fa anche geografico, imponendo una sottomissione al compromesso che diventa “davvero troppo grande”. È una generazione, la loro, che parte disillusa. Più che scoraggiata, realista. Che, ancor prima di non sentirsi rappresentata, non si sente capita. E poco importa che a decidere per loro siano uomini o altre donne. Perché il nodo della qualcuno. Perché osservano il dibattito politico nazionale e, davvero, non capiscono. “Tu mi chiedi se mi faccia piacere che al governo ci sia Elsa Fornero e alla guida della Cgil Susanna Camusso. E io ti posso anche rispondere di sì - spiega Valentina -. Ma la verità è che il dibattito pubblico non ci prende proprio in considerazione. Sento parlare di articolo 18, posto fisso, giovani ‘mammoni’ e flessibilità. Il paese reale in tutto questo dov’è?”, si chiede. Come Enrica, che aggiunge: “La politica e il sindacato parlano di un mondo che noi non conosciamo più e chi dovrebbe decidere cosa fare non conosce più noi. È ovvio che anche le soluzioni, se ci sono, sono vecchie”. Potenzialmente il sistema le accetta, ma la realtà è un’altra. “Se la nostra generazione vede una parità di partenza tra uomini e donne, il muro arriva a un certo punto del percorso. Quando veniamo messe in un angolo sul nodo della maternità. Se vengo costretta a firmare contratti in bianco o licenziata perché incinta allora sì, sono discriminata”. Che le donne abbiano assunto un ruolo di maggior potere rispetto al passato è una conquista anche per loro. “Sono contenta che ci siano - prosegue Enrica - ma certo non basta. Non ho mai creduto che le donne dovessero necessariamente fare meglio: ma che potessero farlo sì. Se fai parte di una categoria lasciata indietro da secoli dovresti farti carico di questo fardello e avanzare proposte mirate”. È questo che si aspettano, in fondo. Che la politica, il sindacato, si muovano per garantire quelle tutele oggi necessarie. “Non c’è nessuna discriminazione nell’intervenire per le donne con leggi mirate in una situazione di emergenza. Quella che viviamo lo è”. Nessuna aspettativa e tanto realismo. “Non possiamo parlare di un’impronta diversa che queste donne stanno dando. E a dire il vero non abbiamo mai pensato che potesse essere così”. Non si tratta di scarsa fiducia, ma di una falsa equazione: “Donne al potere non è uguale a tutela della nostra categoria. Sono i fatti a dimostrarlo”. Potendo, saprebbero anche cosa chiedere. “Al sindacato un maggiore spazio rappresentativo, uno sguardo più attento sulla società. A Camusso chiederei di lottare pure per l’articolo 18, ma rendendosi conto che c’è tutto un mondo intorno che neanche lei vede”. Incalza Enrica che “norme chiare e sanzioni contro le aziende che discriminano giovani e donne sarebbero utili”. E se rispetto al passato “non c’è paragone” perché “addirittura le nostre madri erano più tutelate”, la soluzione sembra sempre la stessa: “maggiore solidarietà tra di noi. Se tutte smettessimo di sottostare a quello che il sistema ci impone, saremmo in grado di scardinarlo”.

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®