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Giovane, immigrata e femmina: radiografia dell’imprenditoria

Giovane, immigrata e femmina: radiografia dell’imprenditoria

Valore Lavoro - Secondo i dati ISTAT e dell’Osservatorio dell’Imprenditoria femminile di Unioncamere del 2012 aumentano le imprenditrici nel mezzogiorno, anche nelle attività più tradizionalmente “maschili”

Maria Fabbricatore Domenica, 10/03/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2013

Mille imprese al giorno chiuse nel corso del 2012. Questi i dati di Unioncamere all’inizio dell’anno. È il secondo peggior risultato dall’inizio della crisi dopo il 2009. Il conto più salato lo paga il nord ricco e industrializzato perdendo quasi settemila imprese. Tiene bene il centro con un saldo del 55%, superando la media nazionale e decisamente positivo è il mezzogiorno con il 49,5%. Il dato che ci sembra particolarmente interessante e in controtendenza, come se si trattasse di un altro paese, è la tipologia di imprenditori e delle attività che in Italia “tiene” e che hanno consentito di mantenere in attivo il bilancio delle imprese dell’intera penisola: giovani, immigrati e donne. E per le attività: turismo, commercio e servizi (+0,3%). È come un topolino che tiene in piedi un gigante con le sole sue forze. Ancora più sorprendente è rilevare che le forze per sostenere il gigante vengono dall’imprenditoria femminile, che ha l’incidenza maggiore sul totale delle imprese (oltre il 23% di tutte le imprese esistenti alla fine del 2012). Il rapporto Istat del maggio 2012 evidenziava un calo graduale e costante della disoccupazione in tutta la penisola e in maggior tendenza nel mezzogiorno, e in particolare per le donne. E questo è esattamente quello che si evince dai dati e dalle svariate analisi di una crisi recessiva che non si arresta. Secondo lo Svimez i dati sono ancora più allarmanti, perché non si tiene conto del lavoro sommerso con cui, invece, le cifre triplicano (da 393 a 953mila). A pagare il prezzo più elevato al sud sono le giovani donne tra i 15 e i 29 anni, cioè meno di una su due lavora. L’Istat non registrava un livello così basso dal 2004. Se tutto questo è vero da un lato, ed è tutto vero per un solo luogo geografico che è il Mezzogiorno, ed è penalizzante per le donne che in quasi tutte le fasce d’età non trovano lavoro, è altrettanto vero che è proprio dal sud e dalle imprenditrici che arrivano i segnali di un virtuosismo che nel resto dell’Italia manca: un dato che ci sembra straordinario. Probabilmente è proprio per questo motivo, per la fatica nel trovare un posto sicuro, che nel sud le donne investono di più rischiando su se stesse, seguendo dunque l’imprenditorialità come sbocco all’occupazionale e all’autorealizzazione. I dati sono cristallini (anche tenendo conto della sovrastima a causa delle cosiddette “donne prestanome”): oltre 1,4 milioni imprese femminili in Italia e le più diffuse sono al sud dove guidano una impresa su due. Più di 500mila imprese costituite da donne sono al sud, tanto che raggiunge il tasso di femminilizzazione più alto del paese (sud 26%, centro 24%, nord 21%). Nella classifica delle regioni relativamente a imprese femminili vincono: Molise (31%), Basilicata (28%), Abruzzo (27%). Ultime in graduatoria troviamo: Emilia Romagna, Trentino e Lombardia tutte intorno al 20%. Per le città la prima è Napoli al 26%, l’ultima Milano al 20% per “imprese donne”. E vincono anche le province del sud: Avellino 33,3%, Benevento 32,5%, ultime con il rapporto più basso tra le imprese guidate da donne Reggio Emilia (17,2%), Trento e Parma (19%). Ma secondo l’Osservatorio dell’Imprenditoria femminile di Unioncamere le imprese femminili non crescono solo in quelle più tradizionalmente seguite dalle donne - come ad esempio commercio, istruzione, cura della persona - ma anche nella ristorazione e nell’accoglienza, senza trascurare quelle più maschili come le costruzioni o i trasporti. Si riduce molto il settore agricolo, anche se resta ancora importante.





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