Martedi, 19/06/2012 - Riceviamo e volentieri pubblichiamo
"Fuggono dalla violenza in Mali insieme ai figli, sono vedove giovanissime che cercano protezione, ma il matrimonio forzato delle bambine, gli abusi sessuali le minacce che si corrono in un campo rifugiati così grande’. E’ dal Campo rifugiati di Mberra in Mauritania, dove sono arrivati in pochi mesi oltre 70.000 rifugiati dal Mali diviso in due dalla guerra, che Federica Biondi racconta tre storie di donne accolte da INTERSOS. ‘Le vite di queste donne sono il simbolo del dolore ma anche della speranza dei rifugiati, hanno perso tutto ma vogliono andare avanti, nonostante le ferite subite’ spiega la capomissione. ‘Noi siamo qui per proteggere chi è in pericolo, prevenire gli abusi con la creazione di spazi sicuri e scuole d’emergenza per i bambini'.
Deija ci racconta la sua storia, fermandosi di tanto in tanto per l’emozione e per trovare le parole. E’ una giovane ragazza di 16anni, nata Toumbouktou. Viveva con i genitori, ha frequentato la scuola fino al quinto anno. Nel 2010 ha perso la madre e il padre l’ha costretta a sposare un cugino. Non voleva quel matrimonio, ma solo continuare a studiare, ma il padre la forzò. Aveva 14 anni. «Ero molto delusa. Sono stati momenti molto orribili per me. Pensavo a mia madre, e mi domandavo perché se ne fosse andata, lasciandomi da sola». Quando anche suo padre è morto, Deija si è ritrovata con i suoi 4 fratelli minori orfani e con un marito che non amava. Una tortura, notte e giorno senza sollievo. Alla fine del 2011, il marito è scomparso senza lasciare traccia. Lei è rimasta nella casa di Toumbouctou fino al giorno in cui la città è caduta in mano ai ribelli e agli estremisti. Spaventata dalle violenze è fuggita clandestinamente con i fratelli verso la Mauritania, insieme ad altre famiglie nella stessa situazione. Entrata in Mauritania è ora al campo dei profughi maliani a Mberra. Lì vive al riparo di una sola tenda, ricevuta all’arrivo a Fassala, che ospita l’intera famiglia di 9 persone. Le lacrime scendono dai suoi occhi mentre ci parla e dice “Sono davvero sfortunata”.
'Le donne sole e i bambini sono i più vulnerabili, i nostri operatori umanitari stanno dando supporto psicologico e sociale alle donne vittime di violenza sessuale e discriminazione' continua Federica dalla Mauritania, che spiega anche la prevenzione 'abbiamo messo a punto un'allerta veloce per intervenire e sottrarre subito le vittime dalle situazioni di disagio’.
"Mi chiamo Fatimata sono nata nel 1988 a Goundame, nel nord del Mali. Ho frequentato solo la scuola primaria nella mia città. Mio padre mi ha data in moglie al mio primo marito all’età di 14 anni. Abbiamo divorziato dopo due anni. Mi sono risposata l’anno successivo con un uomo che amo. Da questo matrimonio ho avuto due figli, di 7 anni e di 5 anni. Ora sono all’ottavo mese di gravidanza. Mio marito era un soldato della guardia nazionale. Alla fine del 2010 è stato inviato in missione nel nord ad Adjal Hock, dove è rimasto per un anno e 3 mesi. Dopo uno scontro tra i soldati della guardia nazionale e i ribelli le comunicazioni si sono interrotte. Dopo due mesi, ho saputo che mio marito era morto. Apprendere questa notizia è stato uno shock. Per poter mangiare ho venduto tutte le cose che avevo in casa. Da quando le grandi città del nord sono sotto controllo dei ribelli c’è caos, povertà e molta paura. Insieme a decine di parenti e vicini abbiamo lasciato tutto per andare in Mauritania. Grazie ai piccoli risparmi di mia madre siamo arrivati a Fassala. Tutto il resto è stato venduto. Vivo con gli altri membri della famiglia sotto un’unica tenda, da quando mio marito è scomparso non mi sento bene, il mondo è diventato molto piccolo e la vita non ha più senso per me. Il pianto rompe le sue parole".
Ricreare ambienti sicuri dove restituire serenità alle donne rifugiate permette di riportare a scuola anche i loro figli. Gli operatori umanitari sono riusciti a convincere le famiglie a far frequentare la scuola a moltissime bambine, con un numero quasi paritario di studenti: 1733 maschi e 1599 femmine. 'Nostro compito più complesso è identificare i bambini e le donne a rischio di abusi o addirittura già vittime' racconta Federica ‘chi arriva qui ha già subito traumi, e non riesce a dimenticare’.
"Mi chiamo Fatima sono nata nel 1984 ad Eré. Sono cresciuta con i miei genitori. Nel 2000 ho abbandonato la scuola in vista del matrimonio. Ho sposato un cugino, soldato della guardia nazionale. Abitavamo all’interno del campo militare di Toumbouctou. Dopo le prime ribellioni a Gao e Kidal, nel nord, nel 2012, il superiore di mio marito, lo invia in missione per la città. Disciplinato com’era, partì dal campo per svolgere la missione, e non è più tornato. Ho cercato di telefonargli, ma non ci sono riuscita. Sono rimasta in questa situazione per 72 ore, poi ho deciso di uscire dal campo, cosa molto difficile per me e per i miei bambini piccoli. Sono scappata a Goundam dove ho ritrovato la mia famiglia. La mattina successiva abbiamo lasciato la città per andare in Mauritania, al campo di Mberra. Qui ci sentiamo sicuri. Ci hanno accolto bene, ma ci mancano i nostri mariti, i nostri fratelli, i nostri genitori e tutte le persone di cui non sappiamo più nulla. Abbiamo anche lasciato i nostri beni più cari. Che la pace ritorni in Mali"."
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