Intervista a Camilla Ghedini - Un libro che denuncia il precariato nelle professioni intellettuali, che hanno un valore sociale ‘dove più che in altri ambiti è richiesta tenacia, cultura, creatività. Ad esempio l’informazione
Donatella Orioli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2008
Ci capita spesso di ascoltare “esperti” che trattano tematiche mai vissute direttamente, facendoci accapponare la pelle ma obbligandoci ad atteggiamenti passivi o limitandoci a discussioni in ambienti circoscritti. Camilla Ghedini, giornalista professionista, ha scritto un libro che già nel titolo suscita curiosità e crea aggregazione: “Io cattiva? No, io precaria” (ed Edimond, pg 43, Euro 8,00). E’ stato presentato a Ferrara, nei giorni scorsi da Mario Molinari, segretario dell’Ordine Giornalisti Lombardia che lavora per Matrix, Iene e in passato per Striscia la notizia. Il libro di Camilla è un testo vero, c'è cinismo, amarezza, drammaticità ma c'è anche ironia nella modalità di esposizione e soprattutto c'è la forza e la voglia di mandare al diavolo un sistema. Non le è stato facile esporsi così tanto, anche a livello personale, ma i risultati dicono che ha fatto bene e solo una donna poteva farlo.
Difficile trovare una/un precaria/o che metta nero su bianco la realtà in cui si trova ma soprattutto che evidenzi anche gli aspetti umani, di relazione e familiari che vive. Cosa l’ha spinta?
L’ho scritto di pancia, consapevole di dire la verità ma non ho voluto pontificare, tutt'altro, però non ne potevo più di sentire sciocchezze in tv e sui giornali. Il precariato è stato ridotto all'impossibilità di farsi un mutuo per la casa, a commiserazione per chi lavora nel call center, tutto il rispetto, non fraintendermi, ma questa è una strada troppo facile per la 'politica' che ha la possibilità di fingere una generosità e una clemenza buonista. E' la 'disponibilità' gerarchica di chi si sente superiore.
Sono una persona consapevole dei miei diritti. A scuola ho studiato educazione civica, a casa mi hanno insegnato a rispettare il prossimo e a vivere correttamente, ho fatto parecchi sacrifici per poter fare il lavoro che sognavo. Ho scoperto sulla mia pelle quanto l'onestà e l'intransigenza sul lavoro non siano reputati valori aggiunti ma 'fastidi'. Se sei fedele a te stesso e agli altri, se hai il senso della gratitudine, se rispetti la dignità tua e degli altri, sei pericoloso. Perché vivi di relazioni vere e non di alleanze del momento.
Il precariato riduce la gente a delle bestie, ricorda alla gente che i bisogni primari - mangiare e pagare le bollette - sono a rischio, dipendono da altri. In una Repubblica fondata sul lavoro, questo è inammissibile. Il precariato è mobbing, è una pressione psicologica continua che fa leva sui bisogni essenziali, ribadisco, e sulle necessità del vivere quotidiano. E' non potersi ammalare, non potersi curare se ti viene il cancro, è rinunciare ai sogni, anche banali, di una vita normale; è non poter stringere amicizie sul posto di lavoro, perchè il principio è il “divide et impera”; è non poter esprimere le proprie opinioni. E' una forma di sudditanza che io, ormai ne sono certa, non si ha poi tanto interesse a debellare. Il buon precario, come scrivo nel libro, è autistico e non ha ambizioni, tranne quella di genuflettersi e soddisfare le esigenze di chi è gerarchicamente superiore.
Nel suo libro analizza una situazione di precariato raramente presa ad esempio, nonostante l’importanza sociale che riveste. Come si colloca e quali sono le criticità da un punto di vista di genere che le stanno particolarmente a cuore?
Io ho voluto porre l'accento sulle professioni intellettuali, che hanno un valore sociale, come l'informazione, dove più che in altri ambiti è richiesta tenacia, cultura, creatività. Ma lo stesso vale per gli architetti, i medici, i ricercatori universitari.
Sembra che le competenze siano prerogativa dei 'ricchi', che possono coltivarle anche guadagnando poco e purché non diano fastidio. Il merito, l'indipendenza intellettuale, non servono più a nulla.
Per quanto riguarda il genere non ho volutamente differenziato o puntualizzato perché credo di aver fatto il più grande omaggio alle pari opportunità. In realtà, poi, il titolo è al femminile. Il testo, nei primi capitoli è pure declinato al femminile. Io come donna mi sono messa a nudo. Avrei potuto intitolarlo 'Io Cattivo? No, io Precario', invece ho lasciato volutamente il femminile. E credo che questo ci faccia onore. Io sono donna, e sono incazzata, e lo grido. Con la tenacia di una donna ma con la consapevolezza che quel che racconto riguarda un popolo equamente diviso.
Il testo si è costruito da solo come dialogo, ma la voce sotto, quella del datore di lavoro, è una voce femminile. Lo si capisce quando io dico, a pag 26, "persino Medea si sentiva una buona madre". Questo è un aspetto che non è stato colto dalla critica. E la voce è appositamente femminile, perchè le donne al potere spesso lo sanno usare in maniera diabolica, proprio contro altre donne. (Questo lo so bene per esperienza personale). Ciononostante credo nell'amicizia, nella solidarietà e nella condivisione. Ho impostato la mia vita così. Ho tante amiche, vere, e ne vado orgogliosa perchè la reciprocità e la corresponsione di slanci che ci possono essere tra donne, se sincera, è la più profonda.
Al di la dei riconoscimenti personali che riscontri ha avuto del suo libro, dal punto di vista politico-istituzionale?
Al libro hanno risposto tutti. Napolitano, Damiano, Berlusconi, Boselli, Bertinotti etc etc. Tutte di segreteria, ci mancherebbe, e tutte di facciata. La certezza che è un problema di cui non frega a nessuno è data dalle inutili risposte che mi hanno dato.. Ma questa è la dimostrazione che la politica e la gente sono ormai due entità distinte. La risposta più bella, l'unica bella, me l'ha mandata Prodi o chi per lui. Si capiva che il libro era stato letto perchè c'era un riferimento al capitoletto da me dedicato ai precetti dei miei genitori. Prodi ha scritto che all'educazione non bisogna rinunciare, diversamente la società va alla deriva.
Per il resto il libro è stato apprezzato in maniera trasversale, ho avuto recensioni ovunque, anche sul Corriere Padano di destra e sul settimanale della Curia, oltre che sui quotidiani e vari siti di partito. D'altra parte il problema è trasversale. Anzi, esistenziale.
Che prospettive vede?
Francamente non lo so, ma temo che il problema della flessibilità lavorativa - detto così fa meno sfigato – non verrà risolto e ho la sensazione che non ci sia poi tutto questo interesse a risolverlo perché forse soddisfa troppo bene e appieno il concetto di 'potere' di alcuni su altri.
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