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Gioco a diventare adulto

Gioco a diventare adulto

Parità/ Infanzia e diritti negati - Per i bambini il gioco è opportunità di apprendimento. Riflettere sul diritto al gioco rapportato all’universo dell’infanzia femminile è fondamentale per creare una società paritaria

Redazione Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2005

Il gioco è uno svago? Non solo. Per i bambini il gioco è opportunità di apprendimento. È un confronto continuo con le valenze positive e negative delle cose, per dare spazio al primato delle idee (è l’idea che regola l’azione e non viceversa). Il gioco serve per acquisire ed esercitare la padronanza sul reale.
Ma quale padronanza possono acquisire le bambine in una cultura adulta dominata dal sessismo?
“Riflettere sul diritto al gioco rapportato all’universo circoscritto dell’infanzia femminile – risponde Perla Suma, sociologa e Consigliera di Parità della provincia di Taranto-. Per quanto ad un primo approccio possa sembrare un’operazione sin troppo speculativa, è questione che non difetta in peculiarità di genere e in addentellati con le tematiche di parità, degni di alcune considerazioni”.
Sul tavolo della Consigliera c’è il testo della Convezione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, approvata nel 1989 dalle Nazioni Unite. Così recita l’art. 31:
1. Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo ed allo svago, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età, ed a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica.
2. Gli Stati parti devono rispettare e promuovere il diritto del fanciullo a partecipare pienamente alla vita culturale ed artistica ed incoraggiano l'organizzazione di adeguate attività di natura ricreativa, artistica e culturale in condizioni di uguaglianza.
Tali disposizioni nascono da realtà diverse da come si vorrebbero. Si sa che nei Paesi del Sud del Mondo il diritto al gioco è negato da torture ed imposizioni di ogni genere: pedofilia, commercio di esseri umani, pratiche selvagge come l’infibulazione, schiavitù e lavoro forzato. Alle bambine soggiogate da costrizioni di vario genere, dunque, viene negata la possibilità di imparare a vivere attraverso il gioco, di imparare a risolvere problemi di tipo sociale fuori da quell’urgenza del reale, che purtroppo, invece, le attanaglia in forma tangibile. Ma anche nel nostro Paese la cultura di genere non è diffusa, lo provano le numerose statistiche che ci collocano in coda ai Paesi europei in questioni di emancipazione femminile.
Se verso i due-tre anni di età i bambini non hanno particolari orientamenti al gioco legati alla propria identità sessuale, grazie a diversi studi è noto che a partire più o meno dai cinque anni molti di loro nei giochi cominciano ad orientarsi in senso maschile o femminile. Molto dipende, in questo senso, dal peso che i genitori hanno nell’indirizzare le scelte del figlio o della figlia, secondo aspettative che variano marcatamente in relazione al sesso.
“A tutto ciò, naturalmente, contribuiscono gli stereotipi propinati dai media e dalla pubblicità. Quella rivolta ai bambini, in particolar modo, traccia notevoli differenze di genere nella comunicazione dei giocattoli commercializzati. In questa maniera, passano molti messaggi ben definiti sul modo di essere bambina o bambino e sulle rispettive regole di comportamento”.
A questi bambini viene negato il diritto all’emancipazione spiega Perla Suma che ha organizzato, in collaborazione con l’associazione Soroptimist, il convegno “Diritto al gioco e alla partecipazione artistica e culturale della propria città”. Il 2 luglio, a Taranto, erano presenti anche l’ex ministro Antonio Guidi, neuropsichiatria infantile, e la psicoterapeuta dell’infanzia e presidentessa del Movimento Bambino, Maria Rita Parsi. All’evento sono seguiti corsi estivi gratuiti di gioco che si svolgeranno fino al 30 luglio.
“L’auspicio finale – spiega Perla Suma -, è quello che quanto prescritto dal secondo comma della Convezione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, trovi sempre più adeguato adempimento in ogni ambito e ad ogni livello, nei contesti educativi della famiglia e della scuola, nel mondo della comunicazione e in quello dell’industria ludico-ricreativa, mediante la costruzione di un diritto al gioco a misura di infante, laddove questa definizione neutra nel genere tenga sì conto delle differenze tra bambina e bambino, ma senza farne strumenti di stereotipizzazione e categorie di marketing”.
(8 luglio 2005)

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