Divieti divini - Per la Chiesa cattolica la libertà di coscienza è permessa solo se è contro l’autodeterminazione delle donne
Stefania Friggeri Lunedi, 17/12/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2012
In nome della libertà di coscienza molti, troppi ginecologi si rifiutano di praticare l’aborto. La Chiesa cattolica ovviamente li appoggia, anche se fino a ieri ha denunciato la libertà di coscienza come frutto avvelenato dell’idea di libertà proclamata dalla rivoluzione francese. La modernità avviata dai moti del 1789 in Francia infatti è stata vissuta dalla Chiesa cattolica come anticristiana, e non solo perché la rivoluzione aveva chiesto ai preti di giurare fedeltà alla repubblica e aveva insanguinato la Vandea, regione fervidamente cattolica e ribelle; ma, più in profondità, perché sostituiva la religione tradizionale con una religione civile fondata sul culto della dea Ragione. E perché si proponeva una missione pedagogica: strappare i francesi dalla condizione di sudditi e farne dei cittadini consapevoli dei loro diritti, compreso il diritto di creare degli organi attraverso i quali il governo del paese sarebbe passato ai rappresentanti del popolo. Ma fondare il governo sulla sovranità popolare trasferendo l’autorità della polis da Dio al popolo voleva dire che Dio non era più la fonte prima del potere e la Chiesa avrebbe perso il suo primato tradizionale, rivendicato anche nei confronti del principe. E infatti, a partire dalla rivoluzione francese e durante l’800, la Chiesa cattolica elabora una visione ordinata e coerente che vede nel processo di secolarizzazione un complotto ordito da Satana per spingere l’umanità ad adorare i nuovi idoli pagani: la libertà e l’uguaglianza di fronte alla legge, l’amore di patria, la sovranità popolare. Che vuol dire deificare l’uomo, farne un uomo nuovo che “trasporta(to) da forsennata mania di opinare a capriccio” si rende autonomo, ovvero si dà la legge (nòmos) da sé (auto). Una condizione da cui scaturisce “l’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che debbasi ammettere e garantire per ciascuno la libertà di coscienza”. Con queste parole la Chiesa di Gregorio XV denunciava la libertà di coscienza come “errore velenosissimo” e il suo successore Pio IX nel famoso “Sillabo” condannava chi riteneva che il Papa “può e deve col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà venire a patti e conciliazione”. Mettendo a confronto “l’età presente nimicissima alla religione…e quei fortunatissimi tempi nei quali la Chiesa veneravasi quale madre”, appariva al Papa “che l’età nostra…corra diritta al precipizio” (Emilio Gentile, “Contro Cesare”). Ma nel grande corpo della Chiesa non mancavano coloro che si opponevano ad una visione satanica della modernità e sotto il pontificato di Pio X trovarono forza e visibilità i cosiddetti “modernisti”, cui però il magistero rimproverava “la pretesa di rinnovare l’ordinamento della Chiesa per accordarlo con la coscienza moderna che è tutta volta a democrazia; perché dicono doversi nel governo dar la sua parte al clero inferiore e perfino al laicato” (ivi). E oggi l’alto magistero è disponibile a “dare la sua parte al clero inferiore e perfino al laicato?” L’impostazione gerarchica e il governo centralizzato della Chiesa portano a concludere di no. Anzi la richiesta di adesione ferrea alla dottrina papale è stata formulata da Ratzinger già nel gennaio 2003, quando da Prefetto della Congregazione per la Fede aveva pubblicato un documento per indicare ai politici cattolici come comportarsi “quando l’azione politica viene a confrontarsi con principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno”. È il preannuncio della strategia…battezzata “la dottrina dei principi non negoziabili” (Marco Politi, “La Chiesa del no”). Come si evince dal quadro allarmante tracciato dal pontefice in più occasioni, Benedetto XVI è angustiato come i predecessori da una visione pessimistica della contemporaneità: secolarismo, razionalismo, relativismo hanno infettato l’Europa dove infatti la Chiesa ha perso la battaglia per il riconoscimento delle radici cristiane e la sua introduzione nello Statuto europeo. Ratzinger insomma è mosso dall’urgenza di resuscitare la dottrina cristiana come spina dorsale del corpo sociale, ma “Gli uomini e le donne - anche i credenti - dell’Occidente contemporaneo non hanno più l’idea del sacro dei loro antenati e soprattutto non scandiscono più le loro giornate e l’intera loro esistenza secondo i moduli di un calendario divino” (ivi). Dispiace però che oggi, profittando della proverbiale ignoranza dei fedeli intorno alla storia della Chiesa, la libertà di coscienza, che una grande figura di religioso, don Milani, ha voluto venisse riconosciuta come diritto per salvare dal carcere chi non voleva prendere le armi, venga esaltata e strumentalizzata per colpire il diritto della donna all’autodeterminazione.
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