Mercoledi, 24/02/2010 - Di sicuro ai ragazzi piacerebbe studiare la geografia, leggendo questo libro (Tomas Espedal, Camminare, Ponte Alle Grazie, MI 2009, euro 15) che racconta alcuni viaggi a piedi dell’autore: itinerari originali, narrati intrecciando geografia con arte, economia, politica e altre componenti del fare e del pensare, osservate con uno sguardo personale. Come nei resoconti di viaggi del nostro Paolo Rumiz: Tre uomini in bicicletta, E’ oriente, Gerusalemme perduta, Annibale, L’Italia in seconda classe, ecc.
Questo libro è scritto in forma di diario e l’autore non vuol convincere nessuno di niente, né si dilunga in preziose descrizioni di luoghi e d’ambienti; non fa nulla per sedurre e viene da pensare che il trentottenne Tomas si tenga molto per sé, consegnandoci solo quello che resta fuori dal bagaglio più interiore, fedele alla sua originale idea della scrittura, intesa come modo per nascondersi: si scrive e ci si nasconde, perché non è possibile scrivere la verità su di sé. S’indovina che la verità e il suo mistero siano il motore e l’autore asciuga il suo stile, per aderire alla tensione verso l’essenziale, non per trasandatezza o aridità, stimolando invece nel lettore l’immaginazione, alla ricerca del non detto.
L’argomento è nel titolo: camminare. Un modo di viaggiare, scelto come metodo di conoscenza per i vantaggi che determina. Per elencarli l’autore cita tanti appassionati del camminare (Aristotele, Platone, J.J. Rousseau, Balzac, D.H. Lawrence, S.Kierkegaard, E.L. Wittgenstein, Chatwin, Doroty Wordsworth, Virginia Woolf, Hatlitt, Coleridge, Thoreau, W.Whitman, per dare qualche esempio) e i riferimenti letterari sono così numerosi, da favorire il coinvolgimento. Per fortuna le frasi, le poesie, le opere e le situazioni, se riguardano il camminare, ne fanno affiorare i diversi aspetti in modo critico e ironico, da illuminare meglio il personaggio e l’argomento. Possono costituire un valido esempio le pagine dedicate a Parigi, dove si precisano numerosi indirizzi, che rimandano a personaggi come Erik Satie, Balthus, Giacometti e Rimbaud; pagine che offrono un inedito punto di vista sulla biografia, sull’arte e sui luoghi, tanto che il lettore segue l’autore, il quale, fra l’altro trovandosi in Avenue du General Leclerq non si domanderà nulla sul militare, ma assocerà il nome della strada con quello della diciottenne Lena Leclercq, recatasi da Balthus per diventare poeta, ma che fu da lui sfruttata come modella, domestica e amante, per essere alla fine sostituita con una quattordicenne. Le informazioni ulteriori e dettagliate sulla vicenda sono scritte senza ombra di pettegolezzo e diventano materia di meditazione, tanto che sembra di vedere l’autore mentre cammina su quelle strade, in piena riflessione. Sul Sognefjord come sulle vie di Atene, di Salonicco e di Istambul avviene lo stesso: luoghi descritti dagli incontri con idioti in viaggio, come il turista australiano Nick e con locali, scrittori come Ivar Orvedal o Merith Gunay, che porta Tomas dove abita Orhan Pamuk, oppure con gente di malaffare, che invece cercano di spillargli soldi in tutti i modi, o con donne con cui costruisce una storia.
L’ attenzione letteraria è giustificata dal fatto che il camminare trasforma l’individuo in viandante, con tutte le conseguenze interiori e spirituali, collegate a una simile condizione. E Tomas invece di dilungarsi in definizioni o elucubrazioni sull’essere viandante, precisa solo quello che comporta: servono allenamento e coraggio, spirito d’adattamento e tempo. Un’utile riduzione, vicina al linguaggio e al comportamento delle generazioni più giovani, per dire solo ciò che bisogna sapere per un viaggio a piedi in generale e per quello dall’estrema Norvegia fino alla Turchia in particolare, senza teorizzare, anzi per far vuoto di idee precostituite. Il viaggio non esige altro se non che dimentichiamo e sogniamo e il camminare comporta questa specie di oblio, che permette uno stato di grazia in quanto la vista e l’udito sono più attenti, l’olfatto più fine, viviamo tutto con maggior intensità. Camminando, i pensieri migliorano e si trasformano, come se venissero riplasmati diventando parte di quel che incontriamo: caratteristiche del viaggiare, identiche a quelle dello studiare la Geografia.
L’autore elenca le condizioni che fanno bello il camminare, quasi a mò di consiglio: gli scarponi devono essere buoni, gli zaini leggeri, i vestiti asciutti, ma i suoi racconti prevedono pioggia, sudore, sole, gelo e descrivono gambe gonfie, vesciche come ferite, male alla schiena, alla testa e dappertutto. Situazioni difficili, che ad un certo punto fanno sentire il viaggiatore a piedi estremamente lento, indifeso, al buio, sulla strada, così piccolo, così insignificante. Quando il viandante comincia a sentirsi così e in lui ricompare la nostalgia di casa, vuol dire che il viaggio è alla fine e che il bisogno di tornare preme forte.
E del viaggio cosa resta? Ha un senso? Restano i percorsi, le strade e i sentieri attraversati. Infatti l’autore si fa guidare da un originale orientamento: sceglie percorsi tra fiordi, boschi, campagne e silenzi, che seguono sentieri particolari, scritti su mappe che non si possono comprare: le disegnano le persone che incontriamo per strada. Per l’autore non esiste forse nulla di più bello di un buon sentiero, una stretta strada disegnata dal calpestio nel bosco, sulla montagna da un villaggio all’altro. Camminare significa scegliere la solitudine, in attesa dell’incontro. Andare a piedi permette di osservare meglio le orme umane, riflettere sul loro modo d’ essere in quel luogo e, quindi, conoscere. Geografia e umanità.
Da schedare sono gli itinerari conquistati con la fatica di un passo dopo l’altro, come, ad esempio, quello che parte dalla Selva Nera, per arrivare alla frontiera francese, attraverso il Belgio: Charleville-Mézières, la Mosa, il Canal des Ardennes, Le Chesne, il fiume Aisne fino Vouziers, boschi e campi in direzione di Reims e Parigi, dove si entra dalla Porte de Clignancourt.
Nel movimento è la vita, mentre le attese e le fermate sono spesso infelici (una camera da otto, letti a castello, insetti pulci…ci portiamo dietro le pulci e i loro morsi) e sottolinenano la precarietà e i limiti di un viaggio con il marchio dei viaggiatori di terza classe.
Un libro dove si evoca spesso la solitudine. Un diario che racconta un continuo succedersi d’ incontri e che descrive, insieme alla natura, le persone e le città, che il viandante, dopo i suoi percorsi alternativi e solitari fra boschi e campagne vive come un muro improvviso di rumore, di luce, di visi, mani, finestre e strade. Un mondo tutto da conoscere e da studiare: la Geografia.
Lascia un Commento