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Generazioni e Gender, qualche preoccupazione

Generazioni e Gender, qualche preoccupazione

Il caso di Lorenzo Orsetti che è andato a morire per il popolo curdo mi ha profondamente turbato e ancor oggi penso al suo consapevole sacrificio ....

Martedi, 23/04/2019 - Il caso di Lorenzo Orsetti che è andato a morire per il popolo curdo mi ha profondamente turbato e ancor oggi penso al suo consapevole sacrificio secondo le esperienze "esemplari" di madri o nonne che conoscono l' "impegno": poteva essere mio nipote.
Uno dei compiti generazionali è quello diessere interpreti della propria storia senza trasmetterla come lezione per sempre. Le finalità buone stanno davanti a noi, ma a nessuna generazione è stato mai dato di realizzarle integralmente. Le generazioni precedenti hanno vissuto altri contesti, non esemplari. Il Risorgimento italiano dei "moti" del 1821 non fu lo stesso del 1861 e Garibaldi, Mazzini e Cavour restano complementari. L'impresa dei Mille fu un successo e non solo un rischio perché Garibaldi non era Pisacane. La Cuba e la Bolivia del Che non sono assolutamente più la Cuba e la Bolivia di oggi. Se Hamas spara un missile su Israele in tempo elettorale, fa un favore a Netanyahu; e nessuno sa se giovani palestinesi che seguono gli stessi rapper, le stesse tecnologie e, soprattutto, desiderano emigrare vogliono altre intifade.
Così ripenso alla trasmissione di Lucia Annunziata (che doveva avere pensieri simili ai miei, se un tempo parlavamo nel mio ufficio delle lotte in Salvador) in cui è intervenuta una ragazza dal bel volto intento a sostenere la sua condivisione ammirata della scelta di Lorenzo. Davvero andare a morire per il "Kurdistan che non c'è" (e dovrà avere la sua autonomia non per la sconfitta dell'Isis, ma per l'accordo di almeno tre governi per non parlare dell'Onu) può sembrare come partecipare alla brigata internazionale che andò in Spagna a difendere una Repubblica democraticamente eletta contro i golpisti di Franco? Davvero posso ascoltare senza angoscia una giovane donna ricordare che si deve "fare qualcosa", accettando anche la reazione violenta quando la situazione è insopportabile?
E' evidente che le generazioni precedenti si sono fermate alle loro belle imprese: le prime volte che la Resistenza entrava nelle scuole, il partigiano diventava Tex Willer e raccontava eroiche imprese spiegando dove erano appostati i nemici e chi sparava a chi. In anni più recenti l'impegno significò accogliere cileni democratici e madri di desaparecidos argentini o partecipare alle manifestazioni Cgil, Cisl e Uil contro l'apartheid sudafricano; ma quando tornò la democrazia in America Latina e Nelson Mandela fu eletto Presidente, non abbiamo capito che non erano avvenuti miracoli e che si doveva mantenere la solidarietà perché le situazioni erano diventate solo diversamente difficili.
La "vittoria" su poteri nefasti non regala democrazia se non viene attivata la politica internazionale. Una volta accettata la violenza di lotte, attentati, sabotaggi e di far morire altri chiamati nemici - azioni necessarie nelle diverse condizioni date - si resta contagiati e si mantiene la logica amico/nemico. Solo la politica, dal basso e dall'alto, tutela i diritti di libertà non più solo nazionali e impedisce il ritorno di poteri forti e guerre. Il movimento più partecipato dei tempi andati è stato certamente quello per il Vietnam, ma le piazze strapiene in tutto il mondo civile anche allora restavano minoritarie: vinse la pressione esercitata sui governi e la renitenza dei giovani americani alla coscrizione. Evocare la sinistra non autorizza a reazioni estremizzanti solo perché mancano idee e proposte che riportino a credere che la soluzione è il fare politica.
Un grande tema su cui noi donne ci spendiamo poco è come esorcizzare la violenza. Di cui siamo esperte in assoluto. Giustamente ci opponiamo a quella "di genere"; ma forse non basta, perché ormai si sente girare qualche "rabbia" femminista di troppo e non era un bel vedere a Verona i bavagli rossi sul volto non solo ironicamente allusivi alla rivolta. Giusto denunciare la troppa violenza che sentiamo attorno, il bullismo, le male parole dei politici, la persecuzione degli immigrati, la sicurezza affidata alle armi. Ma va gridato che tutto questo è perdente: abbiamo creato il mondo più scolarizzato della storia, ma anche il più vulnerabile da poteri forti dotati di mezzi sempre più sofisticati, uno dei quali sta assoggettando noi stessi, figli e nipoti con tecnologie che, peggio di quella antica che addormentava le coscienze davanti al televisore, ci lega a "social", impedisce di pensare in proprio e specula sui nostri dati. Ovvio che non si faccia più politica e ci si faccia del male rinunciando a votare. Ovvio anche che giovani - non solo uomini - che stanno diventando adulti desiderino morire per qualcosa di meglio?
Sbaglio a temere che oggi per molte ragazze la rabbia torni a motivare dinamiche identitarie di rifiuto delle istituzioni mentre l'antipolitica senza progetto gioca a favore dei governi reazionari e per giunta misogini?

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