Login Registrati
Generazioni di donne nel teatro della vita

Generazioni di donne nel teatro della vita

Cinema - Commuove e diverte Tra cinque minuti in scena, l’opera prima di Laura Chiossone prodotta da Rosso Film

Colla Elisabetta Domenica, 01/09/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2013

Da una regista intelligente e piena di carattere come Laura Chiossone - incidentalmente anche giovane e bella, perché non dirlo? - ci si aspettava un film dallo sguardo originale, che affrontasse un tema attuale e scabroso (come la vecchiaia e la malattia) con umanità e poesia: così è nato Tra cinque minuti in scena,

una tenera storia di dipendenza tra una donna Gianna Coletti - attrice di teatro - e la madre novantatreenne Anna, non più autonoma, che intreccia fiction e vita reale, raccontando un difficile passaggio generazionale al femminile. Gianna, la figlia attrice, ha una madre anziana e molto ingombrante di cui prendersi cura e lo fa alternando sorriso e sconforto, mentre lavora in uno spettacolo teatrale tra mille difficoltà: le vicende private e quelle pubbliche si rincorrono nella pellicola, mixando i linguaggi del documentario, del teatro e della fiction. “Ho studiato filosofia, suonato in una pop band, fatto teatro, scritto pagine su pagine di romanzi mancati - racconta Laura Chiassone - ma solo quando sono stata sul set di un film ho capito che tutte queste parti separate potevano essere unite in un’idea, in una visione. Fare un film è il sogno di una vita ed una responsabilità: raccontare qualcosa di importante, non solo per il pubblico che lo vedrà, ma anche per se stessi. Tra cinque minuti in scena è il mio primo film e sono orgogliosa delle emozioni che lascia, della gioia e del dolore del vivere che traspare nella relazione così forte tra Gianna e sua madre. Il film nasce grazie a loro, alla loro ironia sarcastica che ride in faccia anche all’angoscia dell’accompagnamento alla fine della vita. Ho imparato molto da loro."Dalla gavetta di produzione, ad aiuto regia, ai primi cortometraggi (Routine, La Piattaforma, il Dolore degli altri, Broadcast), che hanno ricevuto riconoscimenti e premi in festival di tutto il mondo, ai videoclip musicali, alla pubblicità. Laura, con pochi soldi ed una macchina fotografica, inizia a girare documentari, quasi piccoli film, perché ciò che più le interessa è “raccontare una storia, le persone, le relazioni, farsi domande sul mondo circostante e riuscire ad emozionare”.



Com'è nato in lei il desiderio di fare la regista e qual è la sua formazione?

Da ragazza cercavo il linguaggio col quale raccontare al meglio delle storie. Ho scritto, suonato, recitato, finché un giorno sono capitata sul set di un regista al suo primissimo film: Luca Lucini (che ricorderete per Oggi Sposi, Amore bugie e calcetto e tanti altri film). Osservandolo ho capito il lavoro del regista: avere una visione e modulare diversi linguaggi (la fotografia, il suono, la recitazione, la scrittura) per raccontare una storia, supportati da un lavoro collettivo, per cui la squadra, la troupe dà corpo e spinta alle tue idee. Da li ho cominciato la gavetta: assistente di produzione, assistente alla regia, producer. Mi sono prodotta da sola i primi cortometraggi, aiutata dalle persone che mano a mano conoscevo sui set, il lavoro mi ha formato, le esperienze sul campo, i videoclip, la pubblicità (ho avuto la fortuna di fare sempre pubblicità interessanti dove il prodotto era meno presente rispetto alla parte narrativa) ed i documentari.



Quando ha incontrato Gianna Coletti e la madre Anna, protagoniste del film 'Tra cinque minuti in scena', il suo primo film, come è stato lavorare con loro?

Gianna è un'attrice professionista, la mamma non ha mai recitato eppure ha un talento naturale, un senso del comico e del melodrammatico al tempo stesso che ti spiazzano, e questo nella vita di tutti i giorni non necessariamente davanti alla macchina da presa, anche perché ogni volta che andavo a trovarle per girare una piccola scena, appena arrivavo si dimenticava di quello che stavamo facendo, così come della mia presenza (Anna è cieca), era quindi totalmente spontanea nel suo comportamento con la figlia, ed insieme ripetevano semplicemente gesti e dinamiche di un meccanismo quotidiano.



Crede che oggi le donne siano quelle più coinvolte nella cura degli anziani familiari ed abbiano un maggior carico di fatica e responsabilità rispetto agli uomini?

Sì, la cura in generale è ancora "al femminile", esistono eccezioni ma generalmente sono le donne che si fanno carico della responsabilità della cura. È uno di quegli aspetti di cui nessuno parla ma che magicamente ricadono solo (o quasi) sul genere femminile. La società in generale, ma in particolare quella italiana, credo abbia un grande debito nei confronti delle donne che contribuiscono al mantenimento di un certo welfare sociale.



Come ha scelto le altre attrici (le colleghe di Gianna che lavorano nello spettacolo teatrale) e come ha lavorato con loro nella fase preparatoria?

Sono tutte attrici e attori che vengono dal teatro. Nel film Gianna viene chiamata ad interpretare il ruolo di una figlia con un’ingombrante madre a carico (esattamente come nella sua vita vera) in una commedia teatrale, era quindi di un gruppo di lavoro abituato al palcoscenico che avevamo bisogno. Gianfelice Imparato, Elena Russo Arman, Anna Canzi, Urska Bradaskja si sono divertiti ad interpretare un doppio ruolo da un lato lavorando sulla parte teatrale con dei cliché semplici ed efficaci da commedia e dall'altro cercando invece un realismo credibile e delicato nella parte dietro le quinte, mentre Luca di Prospero giocava nel ruolo del mio alter ego: il regista alle prese con una produzione indipendente!



Nel suo film ci sono donne di tutte le generazioni ed anche una donna straniera... è importante per lei questo aspetto di interscambio di tempo e di spazio? Crede nell'idea di sorellanza e di famiglia allargata?

La femminilità con tutta la sua forza e onestà mi ha sempre interessato, e le età della donna segnano attraverso il mutamento del corpo lo scorrere del tempo che è chiaramente uno dei temi del film, essendo il suo cuore la storia di cura ed accompagnamento verso la fine della vita di una donna anzianissima. Le famiglie allargate esistono, sono già una realtà. Alcune sociologicamente più rilevanti (madre anziana, figlia o caregiver badante) altre si formano per determinati periodi della nostra vita (il gruppo teatrale o la crew cinematografica).



Le ha mai creato problemi l'essere donna nel suo lavoro e sul set?

No assolutamente no, ho un mio stile credo appunto un po’ femminile nel lavoro: ascolto molto, cerco di coinvolgere il più possibile le persone, al tempo stesso quando si arriva al punto di una decisione me ne faccio pienamente carico.



Quali crede siano le lotte che le donne devono ancora affrontare oggi e vede solidarietà e coinvolgimento da parte degli uomini in queste lotte?

È ancora tutto da fare. Fondamentalmente c'è un problema culturale, un problema di visione, di sguardo sulle donne, continuiamo a rimanere innanzitutto corpi, e solo dopo delle persone. Più che lotte singole è una rivoluzione culturale quella che ci vorrebbe. Iniziando dai contenuti, dalle immagini, dalle parole. Non voglio solidarietà dagli uomini, perché non li vivo come una fazione nemica, il problema culturale riguarda uomini e donne tutti, e da entrambe le parti chi ha un minimo di coscienza dovrebbe, nel suo fare e pensare, il possibile e l'impossibile. Si tratta di una questione che appartiene a tutti, una questione culturale. Prendete me e il produttore (Marco Malfi Chindemi, autore tra l'altro de Il corpo delle donne) non ci siamo mai posti sul lavoro il problema di come gestire il potere a partire dal nostro genere, ma come gestire le responsabilità in base alle nostre competenze e ai nostri ruoli professionali.



Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®