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Fritte o in salmì, saranno cavallette

Fritte o in salmì, saranno cavallette

demoBOOM/3 - La ricetta della FAO per sfamare un mondo sempre più popolato: mangiare insetti. E cominciamo a superare le resistenze psicologiche...

Marta Mariani Lunedi, 13/01/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2014

Secondo il Dipartimento Demografico ONU, nel 2050 saremo 9,6 miliardi di persone in tutto il mondo. “Anche se l'aumento demografico globale sta rallentando, nel complesso, alcuni paesi in via di sviluppo sono ancora in crescita rapida” ha sottolineato Wu Hongbo, sottosegretario ONU agli Affari Economici e Sociali. Il trend demografico è, così, in netto rialzo, e molti paesi in via di sviluppo vantano tassi di fertilità davvero competitivi. Per questo, la crescita maggiore verrà registrata probabilmente proprio in Africa e in India. In particolare: l'India sarà già nel 2028 ben più popolosa della Cina stessa, mentre la fertilità degli autoctoni nigeriani farà della Nigeria un paese più popoloso degli stessi Stati Uniti - seguito subito dopo dall'Indonesia, dal Pakistan e dalle Filippine.L'indagine ONU, valutando anche altri fattori considerevoli che entrano in gioco nel campo di forze dell'aumento demografico, hanno analizzato la generalizzata riduzione della mortalità infantile, e il progressivo aumento della speranza di vita per diversi paesi. Dati rassicuranti, che rappresentano un indice speranzoso per ciò che concerne la dignità della vita umana. Tuttavia sorge spontaneamente una domanda: se longevità, fertilità e bassa mortalità faranno del mondo un pianeta presto sovrappopolato, quale dignità sarà possibile assicurare ai molti nascituri? Quale stile di vita? Quale sussistenza? Si tratterà di vivere o di sopravvivere?Nel 2011 l'organizzazione Oxfam International aveva pubblicato un rapporto (reperibile in archivio: http://www.oxfam.org/fr/campaigns/agriculture) che evidenziava un paradosso in cui il mondo globalizzato era evidentemente caduto: nonostante la produzione globale sconsiderata di cibo, un miliardo di persone nel mondo continuava, e continua tuttora, a morire di fame. Sempre l'Oxfam tracciava un disegno possibile per un cambiamento necessario, teso alla diffusa prosperità, alla cooperazione, all'equità e alla solidarietà. Un progetto a lungo termine che si reggeva su quattro capisaldi: una nuova governance globale pronta a stornare le crisi alimentari; una deviazione dei grandi investimenti a vantaggio dei produttori di piccola scala; un'educazione al consumo consapevole per i Paesi ricchi; un accordo globale risolutivo per la lotta ai cambiamenti climatici.Oggi, a due anni dal rapporto Oxfam, quasi tutti punti restano perlopiù disattesi. L'interrogativo già espresso rafforza dunque il suo accento allarmistico. Se già oggi un miliardo di persone muore di fame, come ovvieremo al rischio di più gravi carestie nel 2050, quando si presume che saremo più di nove miliardi e mezzo?La Food and Agriculture Organization ha tentato una risposta possibile con il rapporto del 2013: Edible Insects - Future Prospects for Food and Feed Security. Le righe introduttive della pubblicazione sono esplicite, senza mezzi termini, esse guardano agli insetti come alternative possibili alla malnutrizione globale. “È largamente accettato il dato che entro il 2050 il mondo ospiterà circa 9 miliardi di persone. Per accogliere tale popolazione, la produzione alimentare dovrà più che raddoppiare. La terra risulta già insufficiente e l'area dedicata all'agricoltura non può essere considerata come una opzione valida e sostenibile. Non è possibile nemmeno contare sullo sfruttamento delle masse oceaniche, poiché il cambiamento climatico e la scarsità d'acqua potrebbero avere profonde implicazioni sulla produzione alimentare. Per soddisfare le necessità alimentari e nutrizionali, oggi - quando un miliardo di persone del mondo risulta cronicamente affamato - e domani, è indispensabile rivalutare la produzione del cibo e il cibo stesso con cui ci sfamiamo. Le inefficienze devono essere rettificate, e i rifiuti alimentari devono essere ridotti. È necessario, pertanto, trovare nuovi sistemi di sostentamento. Gli insetti commestibili sono sempre stati una parte della dieta umana, sebbene in alcune società vi sia un certo grado di disgusto per ciò che riguarda il loro consumo. Nonostante la maggior parte degli insetti commestibili possa essere raccolta presso degli habitat forestali, l'innovazione dei sistemi di allevamento di massa è stato avviato già in molti paesi. Gli insetti rappresentano, dunque, una significativa opportunità di fondere le conoscenze tradizionali e le competenze della scienza moderna, sia nei paesi sviluppati che i quelli in via di sviluppo”.Inutile nasconderlo, il rapporto della FAO lascia basiti ed increduli. Esso preconizza, di qui a un cinquantennio, una dieta a base di cavallette e coleotteri; quasi che rivoluzionare la dieta di miliardi di persone (facendo di essi altrettanti "entomofagi") sia addirittura più semplice che istituire un sistema efficace di equità e solidarietà. Forse per tranquillizzarci, il rapporto si dilunga sui principali luoghi comuni che screditano, agli occhi degli occidentali (soprattutto Europei), il consumo di insetti. “L'entomofagia è certo associata ad un'era di raccolta e di caccia, quindi a delle forme ‘primitive’ di acquisizione del cibo. Nelle società occidentali - in cui le proteine derivano ancora in gran parte da animali domestici - gli insetti non sono altro che un sinonimo di fastidio (zanzare e mosche invadono le case, infastidiscono con le loro punture; le termiti scavano il legno, e solo accidentalmente gli insetti finiscono in alcuni piatti, ingenerando disgusto”.Verrebbe da argomentare che, certo, davanti alla fame, non ci sono pregiudizi o luoghi comuni che tengano. Tuttavia, alcune eventualità catastrofiche andrebbero meglio considerate. Come arginare, ad esempio, un'epidemia infettiva innescata dagli insetti (vettore meccanico di trasmissione per eccellenza)?Un'ombra di scetticismo incombe sugli studi più recenti, volti a "contrastare la fame nel mondo"; come se la miopia dei paesi più sviluppati continuasse ad agire indisturbata, eludendo e negando - in modo sempre più sofisticato - il nocciolo capitalistico e consumistico del problema.

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