Siamo donne e uomini,“ e dunque tutto ciò che è umano non può esserci indifferente.” La citazione riveduta è di Terenzio, che due secoli prima di Cristo, si poneva il problema della fraternità. Un’esigenza umana quasi sempre disattesa. Una condizione naturale ma al tempo stesso drammatica. E’ Tacito che scrive ” se ci fosse un deserto, questo si chiamerebbe pace” per ottenere la quale l’uomo è capace di diventare estraneo a se stesso e dunque all’Altro. La polis stessa, che parrebbe offrire un modello di fraternità, in realtà considera le donne schiave. A teatro possono entrare financo i più poveri, con un sasso in mano a guisa di biglietto, ma le donne no. Nella società dei Faraoni con gli schiavi, nel Medioevo con i servi della gleba, per arrivare nella società industriale si vede ben poca fraternità. Carlo Marx giunto per la prima volta a Londra piange, e Dickens a sua volta si strazia. Non elabora teorie, ma fa grandi affreschi letterari sulla mancanza di fraternità. E’ con la rivoluzione francese, che la società ne raggiunge modelli appena accettabili. Ma se guardiamo con attenzione è una condizione mai veramente esistita, anche se alcune “scappatelle” riuscite ne ha avute: Gandhi. Luther King, Kennedy…”scappatelle” significative . Il tema oggi sembra appartenere quasi solo alle formazioni relgiose, e invece il campo di azione è laico, siamo noi. Riconoscerci nell’Altro, è il segreto del nostro destino. Banale ed arrogante ridurre l’uomo e la vita solo a misure quantitative di essa (pil, spread, profitti, perdite). La carne e il cuore non sono massa, sono palpiti, scosse…e la vita è luogo di tensioni inesorabili. Ogni istante è il momento per un’opzione decisiva, si tratta della nostra libertà che è intimamente connessa alla fraternità. Una conquista politica che rende la vita bella, come accade quando di fronte alla bellezza e all’amore capitola, si inginocchia ..rendendola meglio del niente nichilista. Sto parlando di una categoria che declina l’amore vigile, attivo , che si trasforma in attenzione per l’altro e in pietà per ogni indifeso/a.
E ciascuno lo è.
Il pensiero democratico è diventato silenzioso riguardo la fraternità, sembra indifferente, ed è per questo che non ha più niente, tranne la paura. Troppo tiepido, vive con i “remi in barca,” senza accettare la sfida che la nostra natura stessa ci pone. La fraternità è invece sintomo di una società viva, sempre accesa di interesse per la realtà che ci viene incontro, per la vita come vigilia. In un momento storico in cui la politica sembra essere completamente fuori, dalla scena, e la democrazia ancora l’unica forma accettabile di governo che garantisca qualcosa, occorre ricominciare a rimettere in circolo la parola fraternità.
Come fare veritiero, non ritrattabile,non diplomatico.
Ci ha pensato Maria Rosaria Manieri, docente di Filosofia Morale all’Università di Lecce, già senatrice socialista, forte di robusti studi e opere critiche sull’Umanesimo e sull’etica pubblica nella Filosofia moderna, è autrice di “Fraternità”, edito da Marsilio, un saggio di riflessione su uno dei principi cardine dell’agire pubblico. Un criterio etico della decisione e della valutazione politica e sociale di cui si è persa traccia.
“Le stesse formazioni politiche, storicamente nate come risposta al bisogno umano, civile e sociale di fraternità, ne hanno smarrito la portata in tempi di fondamentalismo liberista. E questa è una delle cause profonde della loro perdita di identità, della loro non riconoscibilità , del loro declino”( cit. dal testo).
Un’analisi filosofica, etica e politica che coglie il paradosso della nostra epoca e l’ineludibile esigenza di una nuova fondazione del rapporto individuo-società.”
E ci indica una strada possibile da percorrere, una bussola, per trovare quella Fraternità di cui abbiamo bisogno.
Twitter@marinacaleffi
Venerdì 21 giugno 2013 (ore 17 - Sala degli Atti legislativi – Biblioteca del Senato Piazza della Minerva, 38 – Roma) è prevista la presentazione del volume
FRATERNITA’
Rilettura civile di un’idea che può cambiare il mondo
di Maria Rosaria Manieri con la prefazione di Giuseppe Vacca
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