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Franca Maria Catri Il paradiso è restare vivi

Franca Maria Catri Il paradiso è restare vivi

- Una poesia nella quale sofferenza e bellezza si contendono la pagina

Benassi Luca Domenica, 12/05/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2013

Franca Maria Catri è un’autrice che ha alle spalle un lungo e consolidato percorso poetico, ha esordito nel 1955 con “Noi poveri” e ha pubblicato undici raccolte di versi con cadenze regolari. L’ultima di queste è “La rosa afgana” (edizioni il gazebo), del 2009, dalla quale sono tratti testi qui pubblicati. Fin dal titolo dell’opera di esordio, Catri ci mostra la peculiarità del suo punto di vista, che è quello di un’empatica condivisione con il dolore e l’emarginazione, con la tempesta della vita che spesso si abbatte sugli ultimi, segnandone le esistenze. Si tratta di una poesia nella quale sofferenza e bellezza si contendono la pagina per mostrare l’incandescenza di un’inquietudine profonda e umana. Nella fine tramatura metaforica dei versi emerge il portato dell’esperienza della scrittrice romana, impegnata da anni come medico in un quartiere di periferia segnato da tutte le solitudini della marginalità urbana. Scrive Giuliano Ladolfi in proposito de “La rosa afgana”: “domina in questa bella raccolta di versi della Catri un senso di empatia nei confronti del dolore e della morte; ella raccoglie le lacrymae rerum e le trasporta in immagini dolcissime che nella loro leggerezza recano lo stigma della tragedia. Sembra che la ‘somma del dolore’ universale si raccolga nelle parole di un’anima esposta a raccogliere il grido dei diseredati, la miseria delle guerre, il sospiro degli alberi e della natura.” Effettivamente questa poesia, attenta al soffio e alla voce della natura, mostra la rara capacità di sapersi mettere in ascolto, di coltivare il dubbio delle proprie certezze per cogliere la bellezza che si nasconde nell’alterità, nell’ombra della sofferenza di chi ci è accanto. Nell’oscurità del dolore, questi versi riescono a trasformare il pianto in grido, in preghiera, forse anche in speranza poiché “comunque vada/ il paradiso è restare vivi/ in caso di sole.” È questa una poesia ricca e attentamente cesellata, che si sviluppa in testi lunghi e sintatticamente complessi, in grado di “condensare e contemporaneamente conferire alla parola quella energia necessaria al senso della favola e della metafora che richiami i segni capaci di detergere le ombre e reinventare il verso” (Antonio Spagnuolo). È in questa ricchezza umana, prima ancora che letteraria, che si può trovare il dono della poesia di Catri.









La rosa afgana



[…]

più luce amore mio

bisognerà dunque strappare

al vento al bicchiere alla rosa

che ancora cola innocente rosso

come se fosse il sole

vacilla

il chiaro dell’andare di noi

la folla caduta in un’onda triste

oltre il magro abitare orlato di fumo

amore mio adesso

che tutto è aperto arresa

menzogna di ferro e polvere

adesso è il passo

come ogni segno che sia chiaro e forte

fino all’esplosione del cristallo

traccia la rosa grande di cuore

il luogo dell’incontro

l’andare vegetale del sentiero

verso l’irrisolta allegria

o quanto di giusto

il cuore sopporta









Il giudizio



partendo da qui

cadute strappo a strappo

le parole divergono dal rettifilo deduttivo

lasciamo che sia casuale

e inesplorata l’orma testimoniale

vegliando i fatti

per insistita vocazione e occhiali

sta così il giudice

appeso proprio lì il sangue

goccia a goccia nel latte della tazza

sete di forte gradazione

così il dio sinistro delle arene

beve blu e rossi crudeli

tempesta di sabbia il mantello di Allah

su queste rose di pietra

se è una preghiera

asciutta nella gola si spegne

[…]



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