Debora Greger - Versi sull’infanzia, il deserto, le scorie radioattive, il plutonio: l’altro volto dell’America
Benassi Luca Domenica, 01/07/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2012
Il progetto editoriale Gattomerlino nasce nel dicembre 2010, nell’ambito delle edizioni Superstripes Press, che pubblicano testi scientifici in inglese. Questo progetto, curato e diretto dalla poetessa e scrittrice Piera Mattei, accetta la sfida di mediare il rapporto tra cultura scientifica e letteratura, tra scienza e intuizione poetica, facendo nascere in uno stesso ambito testi poetici in traduzione, saggi sulla poesia e brevi saggi di divulgazione scientifica. Gattomerlino pubblica, per la prima volta in Italia, grazie alla traduzione e alla curatela di Piera Mattei, una selezione di poesie della scrittrice ed artista americana Debora Greger sul rapporto fra popolazione e centrali nucleari a scopo bellico, insieme ad una nota scientifica di Augusto Marcelli. Cresciuta ad Hanford, villaggio nello stato di Washington, costruito nel 1943 per ospitare i lavoratori e le loro famiglie addetti all’impianto nucleare militare, la scrittrice americana ci racconta delle donne e dei figli che ogni mattina vedono i padri allontanarsi verso il deserto, verso un mistero che regala scorie e polveri radioattive. Costruito nell’ambito del progetto Manhattan, per trasformare l’uranio in plutonio, servendosi di reattori nucleari autofertilizzanti e di impianti chimici di raffinazione, l’impianto di Hanford, dal quale uscì la bomba sganciata su Nagasaki nel 1945, ospitava il B-Reactor, il primo reattore nucleare nel mondo per la produzione di plutonio “weapons-grade” su scala industriale. Le conseguenze ambientali e sanitarie per la popolazione di Hanford furono devastanti, anche in virtù dell’accelerazione del progetto Manhattan sullo sviluppo delle armi nucleari alla fine della seconda guerra mondiale, che non consentì verifiche e controlli sugli effetti cancerogeni e mutageni sulla popolazione della produzione di plutonio su larga scala. Il sito di Hanford, ora in dismissione, fu tenuto segreto agli stessi americani per motivi di sicurezza, ma anche per coprire le condizione di vita e di isolamento della popolazione di Hanford, dove Debora Greger è nata. Frutto di una pazienta opera di ‘rimozione del rimosso’, questo “Figlia d’Adamo” ci racconta in uno stile lucido e tagliente una delle esperienze più drammatiche della storia americana recente. Scrive Piera Mattei nella nota critica: “questa poesia interpella i responsabili delle gravissime scelte della politica e della scienza negli anni Cinquanta. Li interpella senza risentimento ma con un’ironia tagliente, che chiede conto non tanto della malafede, quanto dell’incoscienza.”
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Figlia d'Adamo
Golden Trasparente: dalla luce di una mela
vedevo la terra, ed era verde e buona.
Scintillava quasi sotto la polvere. Satolla,
mi stendevo sul retro di una station wagon
tra le casse di mele che mio padre aveva colto.
Golden Deliziose: avevo mangiato del frutto
della conoscenza del bene e del male
ma i miei occhi non si erano aperti, non ero dio.
No, ero un serpente, ben nutrito,
schiacciato sotto il tallone dell'aria del deserto
pesante di isotopi. Non avevo acquistato conoscenza.
Partorita nel dolore, ero la figlia
di un controllore di radiazioni, primo livello,
che si sarebbe fatto strada fino a"studi di fattibilità"
di reattori da costruire. Una volta al mese
lasciava sotto il portico due bottiglie della sua orina
dentro contenitori di piombo. Oh, fai che non sia "contaminata".
Col soprannaturale splendore di una mela -
no, con l'appena percettibile, sacro blu del decadimento atomico,
madre verso figlia, l'uranio anelava a essere piombo.
I pioppi neri della cinta di protezione si frantumavano.
Le foglie bisbigliavano dicerie di nulla, nulla di male.
Un pigro sibilo di serpente a sonagli arrotolato su se stesso,
un ciclotrone addormentato nella terra.
Un treno emise un lamento come un profeta stanco del deserto.
In una macchina piombata, recipienti d'acciaio pieni di plutonio,
spremuto goccia a goccia dalla roccia
cercavano di non farsi scuotere dal mondo
al di fuori dei cancelli del reattore. Ma cosa ne sapevo io?
Era come se lì, al posto di controllo
un serafino avesse sollevato una spada di fuoco.
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Breve storia del Sacrilegio
per la Festa dell'Assunzione
Hanford
Cosa sei andato a vedere nel deserto?
Una canna battuta dal vento?
Gli spini sono tornati nella fattoria abbandonata,
ortiche e rovi nella stalla demolita.
Trenta miglia dentro un vuoto ben custodito
fatiche di turni di notte sotto la cupola di contenimento
del reattore, miele da spremere
dalla roccia, olio dallo scisto,
una rosa che fiorisce nel deserto,
la sua nuvola di petali che esplode,
trionfale, da uno stelo di vapore–
no, cosa sei andato a vedere nel deserto?
I vostri padri nelle loro occupazioni
nei loro grembiuli bianchi e scarpe di sicurezza?
Uranio bombardato fino a renderlo dannoso,
le figlie devi cambiarti per vederle,
lì non essendoci niente da vedere?
Sull'orto abbandonato piove radio-iodio.
Una canna battuta dal vento,
cosa sei andato a vedere nel deserto?
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Fogli puliti
Portò a casa dal lavoro della carta, contrassegnata
RISERVATO,
una borsa piena, con la stampa DESEGRETATO,
per noi, per disegnarci su, misteriosamente opaca
ma pura come la neve sull'altro lato.
Sperava che ce ne stessimo buoni dopo il lavoro?
Giocavamo con il contrassegno con la sua foto,
ci annoiavamo, e litigavamo per essere il commesso del negozietto,
dove si compravano armi, e lui voleva di più che un pezzetto
di carta.
Mio padre temeva i sabati di neve?
Dove era la calma di un mondo che s'interrompeva
al cancello del reattore, con l'esibizione del contrassegno?
Rendeva sicuri per noi i marciapiedi, spargendo sale.
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