Sabato, 15/10/2011 - Il workshop organizzato ieri dalla Fondazione G. Brodolini presso la Casa Internazionale delle donne si è articolato intorno alla presentazione dei due rapporti annuali del SEN NETWORK nell’ambito del programma europeo PROGRESS relativamente alla Lotta alla discriminazione.
Massimiliano Monanni (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali-UNAR) e Raffaella Gallini (in rappresentanza della Consigliera Nazionale di Parità) hanno fornito una serie di dati pratici per dare la misura delle dimensioni del fenomeno riguardo alla partecipazione al mercato del lavoro in età avanzata. Monanni rileva che vi sono stati 810 casi concreti di discriminazioni, vale a dire un 30% di casi in più rispetto al 2010, e sono aumentate le istruttorie che non afferiscono a etnie e razze. Raffaella Gallini ribadisce invece l’impegno a rimuovere tutte discriminazioni sul luogo di lavoro in base al genere. Tra le azioni promosse di recente la diffusione della carta per le pari opportunità ovverossia uno strumento proposto alle aziende con 10 punti di buone pratiche in riferimento all’attuazione delle pari opportunità. Si entra dunque nel vivo del workshop con la presentazione, da parte di Silvia Sansonetti (Fondazione G. Brodolini), della relazione “Rapporto nazionale 1 2011 sull’invecchiamento attivo – Italia” all’interno del rapporto “Partecipazione al mercato del lavoro della popolazione in età avanzata”.
Si parte da un dato acquisito: l’Italia sta invecchiando. Il problema si pone poiché le persone in età avanzata non partecipano alla vita attiva e non sono occupate. Per le donne il problema è ancora più sentito: le donne inattive tra i 45 e i 49 anni sono cinque volte di più (il 36,9%) rispetto al 7% degli uomini. Tuttavia, in generale, a 45 anni trovare lavoro è molto difficile, dopo i 55 anni è quasi impossibile. Se poi si aggiunge il problema della discriminazione multipla, ovverossia la combinazione di atteggiamenti discriminatori, ci si rende presto conto che vi sono delle categorie letteralmente relegate ai margini.
Il punto è che le iniziative, le riforme, ci sono anche state ma ne manca tuttora una completa e corretta applicazione. Innalzare sempre di più l’età pensionabile non creando un’utilizzazione o un reimpiego dei lavoratori in età avanzate continua a essere uno spreco di risorse. Non a caso ONG e società civile propongono, tra l’altro, di investire sulle persone in età avanzata.
Le conclusioni rilevano un problema: se la popolazione sta invecchiando, si avrà sempre più a che fare con lavoratori anziani, quindi, invece di discriminarli, bisognerebbe formarli, aumentandone il tasso di occupazione. Anche e soprattutto ragionando sul fatto che, se l’assetto demografico del Paese sta cambiando, è necessario anche cambiare delle strategie lavorative, reinventando, laddove necessario, una dimensione professionale, supportata da relazioni intergenerazionali produttive, al fine di limitare lo scontro tra generazioni, aumentando la produttività ed il benessere del Paese stesso.
All’interno del rapporto dal tema “Lotta alla discriminazione: quali vantaggi sociali ed economici per il benessere collettivo” s’inserisce la seconda relazione, “Analisi degli aspetti economici della discriminazione” redatto da Silvia Sansonetti e Annarosa Pesole e presentato da quest’ultima, parte da un’indicativa dichiarazione “allo Stato conviene avere atteggiamenti antidiscriminatori”. Infatti, guardando solo agli effetti micro, non si include una grandissima parte di ambiti sociali (società, istruzione etc) e quindi non vi è un effettivo beneficio per la collettività. Con particolare riferimento allo studio IRES 2008, relativo alla discriminazione per chi ha etnia e religione diverse, risulta che le donne sono in ogni caso le più discriminate, in quanto straniere e con l’aggravante di essere donne. Rileva la dottoressa Pesole che: “l’art. 8 della finanziaria ha sostanzialmente reintegrato le dimissioni in bianco”.
Le tabelle presenti in questo secondo rapporto riguardano in particolare gli effetti della discriminazione nell’istruzione e nel mercato del lavoro che ha effetti immediati a livello individuale. Vale a dire minore capacità di accrescere il capitale umano. Da qui una manovalanza meno qualificata, quindi con maggiori difficoltà nell’inserimento nel mondo del lavoro e conseguente aumento del rischio di disoccupazione. Infine conseguenze varie, come problemi familiari e altro ancora. Copiosi anche gli effetti negativi della discriminazione nella sanità. Innanzitutto la discriminazione di genere. Ad esempio la mancata prescrizione della pillola del giorno dopo. In Italia per ogni ginecologo obiettore c’è n’è uno non obiettore ma nell'intero distretto sanitario. Tuttavia circa il 60% dei ginecologi sono obiettori. La donna è quindi discriminata nel suo diritto di scegliere di assumere la pillola del giorno dopo. Infine gli effetti della discriminazione nell’accesso ai beni e servizi. Ad esempio la limitazione per gli omosessuali nell’accesso ad alcuni servizi "per coppie".
Presentati i rapporti è la volta dei numerosi interventi che si susseguono. Come quello di Paolo Patanè (Arcigay) il quale evidenzia, a proposito dell’attuale welfare, come questo dia per scontato l’inchiodamento della figura femminile nel sistema di cura. O quello di Pietro Barbieri (FISH Onlus) il quale rileva la profonda e diffusa discriminazione della quale sono oggetto le persone disabili.
Numerosi ed interessanti i contributi forniti dai molteplici relatori intervenuti a questo workshop per superare quell’invisibilità connaturata alla maggioranza delle forme di discriminazione.
Lascia un Commento