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Fidarsi e affidarsi per fare capitale sociale

Fidarsi e affidarsi per fare capitale sociale

Futura / 7 pensieri – esperienze – tecniche - Puntare su società civile, beni comuni e relazionali secondo il modello winwin e del microcredito. Ci spiega come e perché la psicologa Luisa Brunori

Marina Caleffi Lunedi, 17/12/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2012

Affidarsi. Un concetto divenuto quasi incomprensibile. Eppure lì sta il principio di ogni nascita e di ogni rinascita. Il movimento dell’affidarsi presuppone la rottura di una securitas iniziale, di una quiete amorfa dove si è fasciati da una protezione materna che ci stringe a sé illudendoci sull’unicità e perennità della sua presenza. Affidarsi dunque all’estraneo, che talora può anche essere l’avversario, per ritrovare la via del ritorno a sé. Affidarsi per generare relazione, riconoscersi in un comune destino e fidarsi.

Questa una delle safeword per salvare la parte buona di quel matrimonio illuminista fra progresso economico, democrazia, politica e giustizia sociale, che sta naufragando.

Ne parliamo con la Prof. Luisa Brunori, titolare della cattedra di Psicologia dei gruppi all’Università di Bologna, che da anni ha messo il Microcredito al centro dei suoi interessi, studi e progetti accademici, proprio per la peculiarità di questo strumento di incentivare le reti sociali, favorire l’inclusione e fare capitale sociale. “Si continuano a dare risposte ingannevoli ai bisogni. Si pensa di compensare, rispondere ai bisogni di legame, affettività, di “bonds” con gli altri, e tra gli esseri umani attraverso i beni concreti. Una sorta di compensazione. Una forma di confusione tra gli elementi concreti tangibili e gli elementi intangibili e relazionali che sono quelli di cui ogni essere umano ha un bisogno fondante e fondativo, sia per la creazione di sé e della psiche, sia per il mantenimento di se stesso. Viviamo in una sorta di dissonanza cognitiva. L’idea imperante e distorta è quella dell’uomo aeconomicus e vorace, fagocitatore di ogni cosa che sia concreta, senza considerare i bisogni degli aspetti relazionali.”



Cosa significa lavorare in un settore che guarda l’uomo e le sue relazioni cosi da vicino?

Se non vogliamo optare per una crescita combinata con l’esclusione, per un apartheid sociale, la strada da scegliere sarà quella di riorientare il modello di civiltà, cambiare valori, obiettivi, mezzi di produzione, gusti di consumo, mentalità predominante e il ruolo della tecnologia. Ma non basta. La psicologia ci racconta di ricerche degli anni ‘40, mi riferisco a René Spitz, che indicano come i bambini abbandonati nei brefotrofi senza relazioni stabili con un adulto si lasciassero morire, senza alcun interesse persino a nutrirsi, andassero in cachessia, come si usava dire, disorganizzandosi completamente. Le relazioni sono dunque un potente strumento organizzatore della psiche dell’individuo.



Possiamo azzardare un parallelo con quanto sta accadendo nella nostra società?

Nella cosiddetta società liquida di cui ci parla Bauman, dove non esistono legami sociali forti, la totale anomia e mancanza di significato nelle relazioni sono devastanti per la psicologia degli uomini. Questo modello economico basato sullo scambio casuale e anomico anziché sui beni relazionali ha dimostrato di essere fallimentare. Questi ultimi, al contrario, sono quelli che valorizzano le relazioni in quanto beni e sono caratterizzati da forme stabili nel tempo, da reciprocità, e generano fiducia.



Esistono modelli alternativi percorribili, e strumenti economici che valorizzano il capitale sociale?

Quando ho scoperto 10 anni fa uno strumento come il Microcredito che intrecciava relazione, reciprocità, scambio fra le persone, come elementi portanti mi si è aperto il cuore, e ho capito che il futuro passava da li. Dalla capacità di mettere insieme tutti quegli ingredienti necessari alla salute sociale. Qualcuno sostiene sia impossibile includere tutti gli abitanti del mondo nello stesso livello dei cosiddetti ricchi: il pensiero di escludere chi non corrisponde al modello preciso richiesto è alla base della filosofia che ha generato la rupe Tarpea o i forni crematori.

Anziché chiederci se e chi escludere, dovremmo ragionare al contrario: siamo capaci di ottenere prestazioni da chi vorremmo escludere? E poi perché e chi decide di escludere? Il welfare al momento saccheggiato ed attaccato non ce la fa più, tocca dunque a noi valorizzare tutte le risorse possibili, altrimenti il destino è quello di arrivare a decidere chi sopravvive o chi no. Diamo per scontato invece che ciascuno ha un potenziale: come fare affinché tutte queste risorse possano manifestarsi ed esprimere il loro significato e la propria utilità per la società? Questa è la sfida. Ci siamo abituati a vivere in un mondo in cui passiamo per strada davanti ad una persona che vive sdraiata nel suo sacco a pelo, quale abitazione, senza provare l’ombra dell’imbarazzo. Semplicemente non lo vediamo nemmeno. Sto parlando di una disfunzione emotiva ed affettiva, l’alessitimia che in questo caso è sociale. Gli ultimi studi del Prof. Rizzolatti a Parma indicano al contrario la totale necessità degli esseri umani di stare in contatto strettissimo tra loro.



Del resto la democrazia altro non è che una comunità di destini, un riconoscersi nell’altro…

Certo, ma la scarsità rischia di configurare l’altro come un nemico che mi porta via quel poco che c’è. La psiche e la mente si formano nella famiglia, è lì che si raccolgono gli elementi di oikos nomicità che vengono trasmessi dal macro al micro, elaborando i contenuti relazionali impliciti ed espliciti su cui si baserà l’individuo quando sarà più grande ed avrà un’autonomia di giudizio e di azione interno. L’economia si apprende in famiglia, attraverso le sue relazioni che rispecchiano il sistema culturale di appartenenza. All’interno di questo schema collocherà la sua rappresentazione mentale dell’Altro come colui con cui può costruire qualcosa o come colui che lo espropria delle sue risorse. Dunque se vivo in un mondo di progettualità, possibilità, creatività, e potenzialità, l’Altro è l’amico con cui posso … viceversa se il mondo mi si presenta come scarso, l’Altro è un mio nemico.



Il concetto è alla base del conflitto sociale. Possiamo risolverlo?

Se ci riferiamo alla “teoria dei giochi” come metafora del vivere sociale, ci rendiamo conto di come il conflitto necessario e di base può essere risolto se il sistema economico configura l’altro come quello con cui posso vincere, e dunque avrò una soluzione “winwin” del conflitto. Se il sistema mi configura invece il nemico, avrò una soluzione “losewin,” perché quell’oggetto lo ottieni tu o io, facciamo guerra”loselose”, perdiamo entrambi. La soluzione è quella dove entrambi vinciamo perché ci facciamo carico reciprocamente l’uno dell’altro. Il tutto all’interno di soluzioni nuove che tengano conto che tutti hanno bisogno di vivere insieme e strettamente in relazione. Queste le premesse alla base dell’Associazione WIN WIN che ho creato quest’anno.



È tutto da inventare dunque. Qualcuno sostiene sia impossibile…

Ma chi l’ha detto? Vogliamo provare? Rivedere i concetti paradigmatici sui quali ci siamo incardinati fin qui. Del resto la ricerca e la conoscenza si basa sulla sfida all’impossibilità. Lo stesso Microcredito indica una strada che mette in discussione alcuni principi di base: la voracità delle banche per esempio, il fatto che le banche siano strutturate sulla sfiducia, questo toglie la possibilità del diritto umano al credito per coloro che non hanno tutte quelle garanzie e beni al sole che il banking richiede, e rimangono lì come “pezzi di carne” di cui la società non sa cosa fare. E a quel punto? Vengono relegati milioni di esseri umani a ruolo residuale, non “servono”, non possono fare nulla e nell’inanità del loro vivere si deprimono, si ammazzano, o muoiono rapidamente perché in quelle condizioni l’aspettativa di vita è molto bassa. Povertà, esclusione, impossibilità di rientrare in un circuito di relazioni e produttività, sono un circolo vizioso.



Come elaborare un modello produttivo e di consumo nuovo?

Noi veniamo da un modello di vita figlio di un conflitto tra lo stampo anglosassone capitalista che intende produrre reddito per il capitale, l’uomo è un self made che vince su tutto e su tutti gli altri, l’altro modello è quello che privilegiava il collettivo che prevale sull’individuo, lo umilia e lo annienta, dove lo spionaggio non ne consentiva espressione. I due schemi sono entrambi mors tua vita mea. Dobbiamo puntare ad un modello di società civile che parli di beni comuni, di beni relazionali, dove i rapporti siano basati sullo scambio, un mondo che parli di reciprocità, fiducia, sulla possibilità che tutti vincano, risolvendo il conflitto di base secondo un modello winwin. Questo è possibile e va tentato. Il Microcredito, ripeto è uno strumento che basa il suo successo sulla relazione di gruppo. In America i gruppi hanno uno sviluppo rapidissimo e un tasso di restituzione del 99%, pressoché totale. Il gruppo si riunisce tutte le settimane, la modalità è basata sullo scambio di idee, è anche l’occasione dove rassicurarsi reciprocamente poiché parliamo di persone economicamente fragili, nel senso più comprensivo del termine intendendo tangibile e intangibile.



Oggi come si potrebbe tradurre questo modello nel nostro Paese?

Il mio Dipartimento ha istituito un Master ad hoc, per formare persone capaci di attivare forme di microcredito sul modello Grameen e per imparare una sorta di metodologia sulla scorta di quanto accade in USA, dove si crea una piccola comunità dei Cinque che insieme alle altre comunità sviluppa al massimo grado l’utilizzo del legame sociale, attraverso lo scambio di conoscenza, di comunità di destino e di apertura alla speranza che nel momento che è condivisa ha portato alla restituzione del credito. Il modello è stato applicato nella sua essenza solo all’interno dei progetti Grameen e in alcuni realizzati in Italia dal nostro Osservatorio sulla Microfinanza. Numeri piccoli, perché non siamo assecondati né dalle banche né da quelle strutture che si “occupano” della difficoltà sociale. Il clima è sperimentale e stiamo lavorando per consolidare il percorso fatto fin qui. I dispositivi tentati fin qui per colmare il gap tra la filosofia Grameen e quella delle banche tradizionali sono svariati, certo è che laddove c’è un impegno della relazionalità il risultato c’è a tutto tondo.



Che ruolo può giocare il Microcredito per favorire nuovi modelli di lavoro possibili?

Per definizione valorizza l’artigianato, l’impresa individuale, ravviva in un certo senso l’archeologia del lavoro, di cui abbiamo un gran bisogno. Penso a tutte le forme di attenzione all’ambiente, tipo Km0, di cura delle persone, di conoscenza, formazione, etc.. dove l’obiettivo non è più e solo il profitto ma è mettere al centro l’uomo. Il futuro esige una crescita basata non solo nella logica, ma anche nella coscienza, non solo orientando le azioni, ma anche scegliendo il loro proposito. L’economia cosciente, o umanista, differente dall’economia naturale o animale, dovrebbe trattare la crescita non come il proposito del sistema economico, bensì come una delle basi dell’economia, in modo che non provochi disoccupazione; che usi la natura senza depredarla; che costruisca il benessere, qualcosa di più che la somma dei valori dei prodotti creati.



Come creare una “nuova scuola” capace di formare un nuovo essere umano?

Per esempio, come prevede un mio progetto, insegnando il Microcredito ai ragazzi, gli ultimi due anni delle superiori prima di affacciarsi al mondo del lavoro, dell’Università. Per essere autori o protagonisti di un’economia nuova. Questo principio ha ispirato inoltre all’Associazione WinWin la creazione di un gioco che ribalta i criteri della vittoria e del successo: vince non chi razzia di più, come accade tradizionalmente, ma chi è in grado di creare situazioni winwin tra i giocatori. Lo scopo del gioco non è accumulare bottino, ma creare relazioni, costruire legami, e trovare soluzioni favorevoli a tutti. Creare capitale sociale.

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