Intervista a Gianna Taverna, componente dell'associazione Comitato Fibromialgici Uniti - Italia O.d.V.
Nella tua storia ci sono i tratti della perdita di identità. Senti di aver recuperato qualcosa e /o di aver aggiunto elementi nuovi che ora fanno parte di te?
Certamente sono andati persi pezzi importanti che erano parte integrante della mia vita e che ho dovuto tagliare via. È un processo progressivo di impoverimento,come in altre malattie. Rendersene conto fa paura,un pezzo alla volta le proprie abilità o abitudini consolidate se ne vanno, è un momento di vuoto e non riuscire a riempire quel vuoto con altro può essere molto pericoloso per la propria integrità psichica. Non ho recuperato ciò che via via ho perso ma,per lo meno fino ad ora, il mio modo di affrontare la malattia mi ha portato anche cose buone che mi hanno arricchito e che non lascerei più, soprattutto persone con cui sono venuta a contatto e che ora sono amiche e in qualche caso veri affetti.
Parlaci di come l’associazionismo ti ha aiutato, il fare per altri è essere dentro, a contatto con chi come te soffre di questa malattia. Dal 2016 sono impegnata con l’associazione nazionale Comitato Fibromialgici Uniti – Italia O.d.V. (CFU Italia) e ora ne sono referente per la Regione Liguria.A La Spezia si è costituito un gruppo di auto-mutuo-aiutoa cui fanno riferimento sempre più persone fibromialgiche.
L’associazionismo mi ha molto aiutato perché è proprio grazie a questo impegno, che io chiamo militanza, che riesco a non farmi ingoiare dalla malattia, a non cadere in depressione, ad avere la sensazione che anche la malattia abbia un senso nella mia vita.
L’impegno delle associazioni permette di dare voce a istanze che altrimenti rimarrebbero inascoltate, a malattie non ancora riconosciute come la nostra, è di spronare i politici che devono legiferare, interagisce con i sanitari.Lo ritengo indispensabile.
Se oggi potessi fare un sogno ad occhi aperti per il futuro di chi soffre di fibromialgia quale sarebbe?
La prima e più importante cosa che mi concederei di sognare è una cura, visto che ne siamo privati. Immediatamente dopo la cura, le nostre priorità sono il riconoscimento della fibromialgia come malattia cronica invalidante, l’inserimento nei LEA e la promulgazione di una legge equa che risponda alle nostre necessità; in subordine, sognerei che medici e sanitari tutti conoscano la nostra patologia, terapie complementari gratis per tutti, centri multidisciplinari almeno in ogni provincia, accesso alle visite programmato a cadenze regolari, integratori almeno detraibili... Un sogno più personale ma non banale sarebbe tornare a vivere una vita normale, ma so che questo è irrealizzabile: l’elenco delle cose che vorrei, che vorremmo, è troppo lungo, non basta un sogno solo per sognarle.
Intervista realizzata con la collaborazione di Claudia Frandi e Ivana Carpanelli
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