Il rilevante clamore mediatico, sviluppatosi in merito alla campagna promozionale del Fertility day, ci ha consentito di visionare il correlato Piano nazionale per la fertilità predisposto dal Ministero della salute. Ci siamo trovate di fronte ad un documento d’intenti, avente la finalità di “collocare la Fertilità al centro delle politiche sanitarie ed educative del nostro Paese”. Al fine di raggiungere questo obiettivo si propone di rileggerla “come un bisogno essenziale non solo della coppia ma dell’intera società promuovendo un rinnovamento culturale in tema di procreazione”. Solo che ad esaminare attentamente l’intero Piano nazionale per la fertilità constatiamo che si mandano al macero quelli che sono state e continuano ad essere passaggi fondamentali in tema di libertà delle scelte riproduttive.
Non siamo contrarie a che si affronti il problema dell’infertilità dal punto di vista sanitario, ma collegarlo alla necessità di contrastare il fenomeno della denatalità in Italia è più che forzato. Premesso che le politiche sanitarie pubbliche non sono titolate ad entrare nel merito di questioni riguardanti la sfera privata di ogni cittadin*, ci domandiamo il motivo per il quale la campagna ministeriale, finalizzata alla prevenzione “perché l’infertilità è una questione di Salute Pubblica” (B. Lorenzin), vada ad esprimere giudizi di valore, quali quello che la maternità sia un Prestigio. Di qui a considerare non “prestigiosa” la donna che non avverte il bisogno di procreare o che non può farlo il passo è breve, configurandosi in tal modo una palese discriminazione e una violenza inaccettabile.
Non si tratta unicamente di uno scivolone sul versante “comunicazione”, come se avessimo frainteso gli obiettivi.
Dalla lettura del Piano appare evidente che a monte c'è un'idea, un progetto che ha un indirizzo e un'impostazione pericolose per uno Stato laico, che non dovrebbe indicare ai propri cittadini se, quando e come diventare genitori. Ci appare evidente allora di trovarci di fronte ad una delle tante scelte ideologiche connotanti il Piano nazionale per la fertilità, come d'altronde tale è anche quella di non valutare la stretta correlazione tra denatalità e insufficienti politiche a sostegno del lavoro e della sua conciliazione con i bisogni famigliari. Difatti leggere nel documento in questione che “non si può considerare il fattore economico l’unico elemento determinante nel rinvio di una gravidanza” evidenzia un giudizio che non compete a chi formuli un piano a carattere sanitario. Ad avallare siffatta impostazione ideale si corre il rischio che si passi celermente ad indicare autoritativamente le condotte personali, a considerare i corpi e i gameti come beni di proprietà dello Stato, a subordinarvi le scelte riproduttive personali, con una palese violazione delle libertà individuali.
Come donne siamo ben consapevoli che un conto sia chiedere allo Stato di fornirci gli strumenti essenziali a soddisfare i nostri bisogni di specifici servizi sanitari, quali provvedimenti per una doverosa applicazione della 194 e una nuova e più che necessaria legge non discriminatoria sulla fecondazione assistita, dopo che la legge 40 è stata svuotata da innumerevoli sentenze. Altro è invece sminuire per meri calcoli ideologici il diritto di optare per una gravidanza o meno in base alle nostre esigenze di vita. Saremo noi a sceglierla quando considereremo in piena coscienza che sia arrivato il momento giusto. Soprattutto in un Paese come il nostro dove la maternità diventa un elemento di precarietà economica. Auspichiamo che si lavori in un'ottica di prevenzione, diagnosi precoce e cura delle patologie dell'apparato riproduttivo, che possono portare a problemi di infertilità.
Al Ministero della Salute chiediamo di occuparsi quindi di infertilità maschile e femminile. Veicoliamo consapevolezza, non ruoli e destini predeterminati. Questo dovrebbe essere l'obiettivo primo di uno Stato che rispetta i suoi cittadini e le sue cittadine e che, con il giusto grado di empatia, gli permette di sviluppare appieno e liberamente i propri desideri e progetti di vita.
L'art. 3 della nostra Costituzione recita: “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Prendersi cura della propria salute sessuale, conoscere il proprio corpo è una cosa, farlo per fini riproduttivi e dare figli alla patria è altro. Non riconduciamo tutto a un destino biologico. Perché ci potrebbero essere desideri diversi che vanno rispettati. Per questo occorre avere un approccio laico a questi temi, perché la laicità deve essere nel DNA di uno Stato che vuole trasmettere i giusti messaggi.
A questo Governo, che sin dai suoi albori si definì come il più rosa della storia della Repubblica italiana, chiediamo, quindi, una formulazione nuova del Piano nazionale per la fertilità, finalmente libera da impostazioni ideologiche fuorvianti, facendone salva la parte frutto di contributi meramente tecnico-scientifici. La denatalità si argina con politiche pubbliche multidisciplinari congrue ed efficaci, non con tesi valoriali come quella di ritenere la maternità un prestigio.
Questa volta la clessidra tanto criticata della campagna promozionale del Fertility day la terremo in mano noi, per verificare quanto tempo necessiti a questo Consiglio dei Ministri per capovolgere le linee guida dell’attuale Piano per la fertilità. Ricordando ai titolari dei dicasteri interessati alle questioni correlate alla scarsa natalità nel Paese, che “noi donne sono anni che chiediamo politiche per garantire l’autodeterminazione e la possibilità di avere i figli che vogliamo” (Linda Laura Sabbadini).
Il gruppo "Chi colpisce una donna, colpisce tutte noi"
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