Iori Catia Domenica, 06/09/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2015
La mia dottoressa, professionista inossidabile vocata al suo lavoro, sa che vincere una battaglia non significa vincere la guerra e che ora occorre pensare a evitare le ricadute. Si perché lei che si fa in quattro ogni giorno per sottoporti a ogni esame di controllo preventivo, ci è cascata. E si è trovata sul capo una infausta diagnosi di tumore al seno. Mi chiedo come siano questi mesi di attesa e di incertezza a dialogare con un corpo tarlato. Lei che da sempre si preoccupa di te e della tua ingenua beatitudine ignara... Fermarsi di colpo e precipitare su di sé, nel vortice buio di quella chiazza nera, dopo una vita spesa a rincorrere le altrui diagnosi, sostenendo le depressioni e consultando tutte le alternative possibili. Tutto finito in quel vuoto personale, inghiottito e deflagrato in un Big Bang. È questo l'aspetto positivo, a volerne trovare uno, delle malattie moleste: ti costringono a fermarti nella tua vulnerabile fisicità, ridisegnando scenari nuovi, obbligandoti a "sentire" la tua stessa vita, vedendola scorrere o incepparsi addosso a te. Eppure non è mai stata così bella e consapevole della sua bellezza, la mia amica, proprio perché ora nulla da per scontato o negato. Si veste meglio, si abbiglia con i colori del sole, quelli che le assomigliano di più perché quando un ingranaggio si rompe, non si vuole farlo sapere perché ti fa sentire fragile, esposta, diversa. Spero che non ne esca svuotata ma più forte e consapevole, certa di quella caparbietà tutta femminile che applica a noi pazienti obbligandoci a stare sempre sul pezzo della costante verifica di sintomi e terapie. Poiché sono certa che ne uscirà meglio di prima, sento in cuor mio che questa può essere stata una occasione forte per scendere dalla ruota impazzita del criceto, quella che ti costringe a turni massacranti e che ti impone corse frenetiche al supermercato, incontri sincopati coi professori della figlia, visite continue ai genitori dotati di badante ma pur sempre bisognosi di attenzioni. Finalmente la sopravvivenza ti obbliga a fidarti del tuo corpo, dei tuoi ritmi. Le occorre armonia, una resa totale al buon cibo, al sonno prolungato, a qualche viaggio di piacere. La sua esperienza interpella anche me e mi costringe a chiedermi "sei sicura di stare bene? stai vivendo per te o per gli altri? riesci a valorizzare i tuoi giorni amandone il loro valore?”
Guardiamo in faccia la nostra vita è aiutiamola a ripartire, se è il caso, perché non sia un camice bianco a obbligarci a cambiare binari e mete.
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