"...sono certa, senza timore di essere smentita, che questo dipinto abbia anche a che fare col fatto che in qualche modo si rimane sempre di spalle, non si è compiutamente se stessi se non diventiamo anche lettori ... "
A un tratto scorgevo, il giovedì nel primo pomeriggio, comparire il postino. Dopo la scuola, di filato tornavo a casa, ad attenderlo, senza che altro potesse trattenermi.
Topolino arrivava puntuale il giovedì, dono di uno zio alquanto generoso che aveva sottoscritto per me, l’anno dei miei otto anni, l’abbonamento annuale al giornaletto.
Solamente una volta in quell’anno il postino non venne. C’erano state, nei giorni precedenti, delle piogge incessanti e s’era allagato tutto il cortile di un’acqua scura, sporca assai, essendo emerso fuori dai vecchissimi tombini tutto il nascosto e non sto a dire l’intero repertorio di quel che, stanato, era riemerso e galleggiava quella mattina in una coltre putrida in cortile.
Il postino quel giovedì non venne. Io pure quel giovedì non ero andata a scuola. Vennero, al posto suo, i pompieri. Io avevo, è vero, solo otto anni, ma mi venne fatto di pensare che i pompieri erano chiamati a spegnere il fuoco non certo l’acqua, se pure tanto sporca e con cose di ogni risma riemerse. Ci sono voluti anni e anni prima che io incontrassi nelle mie letture Prometeo e Freud dopo Topolino che, grazie all’intervento dei pompieri, il postino poté poi,dopo quel giovedì in cui essi ripulirono il cortile,per l’intero anno,venire aconsegnarmi.
Sicché, appostata alla finestra nell’ora solita, a un tratto lo scorgevo entrare nel cortile, percorrere il tratto occorrente, entrare nel portone, ne prefiguravo il salire le scale, infine lo sentivo bussare alla nostra porta. A un tratto, di lì a poco, mi sarei immersa nella lettura di Topolino, restando avvinta dalla storia nuova raccontata, dai tratti dei disegni, dai tratti inconfondibili di quel topo, dimenticando lo scorrere del tempo, estraniandomi dal luogo dove mi trovavo.
Diventando, questo è certo, d’allora in avanti, una forte lettrice. Nel 1932 Sigmund Freud interpreta il mito di Prometeo quasi come il desiderio di estinguere il fuoco con il pissing on it e nota che la vicinanza col fuoco genera in Prometeo delle sensazioni di tale gioia da parere orgasmica.
Per cui ancora adesso mi domando di quanti istanti, di quanto fuoco, di quanta acqua, di quanto corpo è fatta ogni lettura?
«Ho cominciato la mia vita come senza dubbio la terminerò: tra i libri», così scrive Sartre nella propria autobiografia, Le Mots, pubblicata in Francia dall’editore Gallimard e in Italia da Il Saggiatore.
E, alcune pagine dopo, scrive: «Non sapevo ancora leggere, ma ero abbastanza snob da esigere di possedere dei libri miei. Mio nonno si recò da quel mariuolo del suo editore e si fece regalare Les Contes del poeta Maurice Bouchor, narrazioni tratte dal folklore ridotte per l’infanzia da un uomo che aveva conservato, diceva, occhi di fanciullo. Volli subito cominciare il cerimoniale di appropriazione. Presi i due volumetti, li annusai, li palpai, li aprii negligentemente alla pagina giusta facendoli crocchiare. Invano: non avevo la sensazione di possederli. Tentai con maggior successo di trattarli come bambole, di cullarli, di baciarli, di picchiarli. Quasi alle lacrime, finii col posarli sulle ginocchia di mia madre. Lei alzò gli occhi dal suo lavoro: «Che vuoi che ti legga, caro? Le Fate?». Incredulo, domandai: «Le Fate, ma sono là dentro?».
Al Museo Boijmans Van Beuningen a Rotterdam c’è il quadro di Magritte “La Riproduzione vietata”, un olio su tela realizzato nel 1937, in cui l’artista dipinge nello specchio un uomo riflesso di spalle, laddove avrebbe dovuto invece esserci l’immagine frontale dell’uomo riflessa nello specchio, però sulla mensola in marmo alla destra dell’uomo c’è un libro, esso sì riflesso esattamente, inoltre lo specchio e la mensola non terminano all’interno della tela, ma continuano al di fuori dando la sensazione che lo spazio dell’opera sia ancora più grande.
Il committente di quest’opera era stato il poeta inglese Edward James e il libro esattamente riflesso nello specchio, a differenza dell’uomo che postosi dinanzi allo specchio è però in esso riflesso di spalle, è Storia di Arthur Gordon Pym di Edgard Allan Poe.
Il significato di quest’opera è tuttora un mistero, ma io sono certa, senza timore di essere smentita, che questo dipinto abbia anche a che fare col fatto che in qualche modo si rimane sempre di spalle, non si è compiutamente se stessi se non diventiamo anche lettori, a partire finanche da un giornalino di Topolino, o ascoltando quando ancora non sappiamo leggere, nostra madre che ci legge storie di Fate.
E ne sono certa ancor più, in quanto scrittrice, facendo mie quanto pure scrisse Sartre: «Sono nato dalla scrittura: prima, c’era solo un gioco di specchi; a partire dal mio primo romanzo, seppi che un bambino s’era introdotto nel palazzo di specchi. Scrivendo, esistevo, mi sottraevo alle persone grandi, ma non esistevo che per scrivere, e se dicevo: io, ciò significava: io che scrivo».
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