Femministe e unite. Un mondo più laico per avere più libertà
- Alla Secular Conference (Londra, ottobre 2014) attiviste e intellettuali hanno discusso dell’emergenza fondamentalismo lanciando il Manifesto per la laicità
Monica Lanfranco Domenica, 28/12/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2015
Sono certamente le più estreme nel movimento, e quindi non possono piacere a tutte. Per gli uomini vanno dal ‘wow’ al ‘pittoresche!’ al decisamente ‘no’, (ma solo per gli integralisti di ogni religione, che però una sbirciata veloce la danno lo stesso). Parlo delle Femen, il gruppo femminista che viene dal violento e omofobo est, dalla Russia in particolare, ma che ha raccolto adesioni di attiviste anche nei paesi musulmani, come nel caso di Amina, che poi sembra, per pressioni interne alla famiglia, abbia ritrattato.
Che piacciano o meno, le Femen sono capaci di farsi notare, e non solo perché si spogliano per metà, esibendo il seno nudo e scritte sul corpo che non lasciano dubbi sulla loro contrarietà a qualunque fede e ostacolo alla libertà di espressione. Disturbanti quando attaccano le religioni - puntando a creare disagio, intervenendo a volte in modo inopportuno (per esempio in piazza San Pietro durante le udienze papali, oppure cercando di togliere il burka alle donne che lo indossano) - loro stesse definiscono ‘isterici’ talvolta i toni che usano, sono fiere di avere condanne e minacce di morte per blasfemia. “Fino a che non si potrà criticare la religione non potremo dire di essere libere” ha dichiarato Inna Shevchenko alla Secular Conference di Londradel 2014, che l’11 e il 12 ottobre ha ospitato 30 tra attiviste e intellettuali da tutto il mondo per discutere dell’emergenza fondamentalismo e laicità.
A metà tra l’arte aggressiva e dolorosa di Marina Abramovich (non a caso anche lei di origine slava) e la tecnica striker, queste instancabili macinatrici di chilometri hanno detto alla Conference una cosa forte e chiara a chi sostiene che, pur condividendo il senso della lotta, sbagliano a usare il corpo e la nudità.
“Alle femministe critiche dico per prima cosa che bisogna che ci sostengano perché noi siamo femministe. Pensiamo che ogni tipo di femminismo debba essere supportato dalle altre, alle quali chiediamo aiuto. Perché abbiamo deciso di essere nude? Perché usiamo la nudità come una tattica: dopo anni di lotta per avere attenzione sui diritti delle donne abbiamo realizzato che chi sta a sentire le donne le guarda, prima ancora di ascoltarle, e abbiamo deciso di usare questo fatto a nostro favore. Il corpo delle donne è posseduto dagli uomini, usato, venduto; ce lo siamo ripreso, rendendo chiaro che il corpo è nostro e lo trasformiamo in un manifesto politico. Facciamo vedere giovani donne che dicono, domandano, spiegano qualcosa con il corpo. Pensiamo che in questo modo si possa distruggere la visione sessista del corpo nudo, perché lo mostriamo in un contesto del tutto opposto a quello del mercato, dove è usato per vendere birra o yogurt. Le nostre sono richieste politiche in un contesto politico. Cambiamo il significato della nudità, proponiamo un altro modo di guardare alla nudità delle donne, per le donne. Crediamo che questo sia importante perché in quattro anni di lotta siamo state arrestate, torturate per due giorni in Bielorussia, perseguitate, costrette a vivere in esilio. Per cosa? Perché mostriamo il seno in un modo e con un significato completamente diverso rispetto alla nudità tradizionale. Per questo potete decidere o meno di stare dalla nostra parte, ma abbiamo bisogno di voi, come femministe”.
La Secular Conference di Londra, terminata con l’approvazione del Manifesto per la laicità che sta raccogliendo già migliaia di adesioni, è stata una due giorni per molti aspetti straordinaria, e ancor di più se vista con occhi italiani. Ha circolato un coraggio culturalmente, socialmente e politicamente profondo, unitamente al forte taglio femminista di ogni intervento: considerando che Maryam Namazie, fondatrice di numerosi network per la laicità tra i quali One law for all, ha portato alla Conference i più bei cervelli dell’attivismo antifondamentalista il risultato è stato davvero impressionante. Ecco alcuni cenni sui lavori, rimandando al sito dove ascoltare tutti gli interventi.
I venti minuti del filosofo scrittore e columnist del GuardianAC Graylins sono stati un distillato di humor british sull’ossimorica tendenza di ogni religione a dirsi democratica, aperta e foriera di libertà. Il pericolo dell’educazione religiosa non sta nel voler educare, sostiene Graylins, ma nel pretendere di educare a cosa pensare: l’educazione dovrebbe insegnare a pensare, punto. A quando, al posto dell’educazione religiosa, l’insegnamento della storia delle idee?
Marieme Helie Lucas, attivista e studiosa algerina del Wluml, più volte invitata e pubblicata da Marea in Italia, ribadisce con forza l’uso dannoso delle ‘differenze’ culturali per giustificare la negazione dell’universalismo in Europa. “Siamo vittime dell’essenzialismo e del relativismo quando reclamiamo diritti diversi su base religiosa, anche quando vogliamo difendere ‘i diversi’ nel nome delle culture identitarie. Accade sempre più spesso che i governi occidentali si mettano in relazione con rappresentanti religiosi che non sono mai stati eletti e che parlano a nome di una parte precisa delle comunità (non certo per le donne), portando avanti i diritti di una minoranza esclusiva. Il multiculturalismo garantisce l’esistenza di enclaves chiuse nella quali governano quasi sempre elementi non democratici che pretendono di fare a meno dell’universalismo dei diritti”.
Di grande impatto emotivo la scelta formale di Karima Bennoune, docente arabo americana di legislazione internazionale per parlare delle vittime del fondamentalismo. Sullo schermo dietro di lei scorrono le immagini e i volti di uomini e donne che hanno trovato la morte negli ultimi anni per mano degli islamisti. Non c’è nulla di enfatico o di eroico nel suo breve racconto delle biografie: Karima chiede che si ricordino queste persone perché fare memoria è un gesto politico prioritario per avere futuro e ricordare che la libertà di vivere senza il giogo della ‘ideologia religiosa non c’è ancora in molti luoghi del pianeta. “Non si tratta di fede, scandisce, ma di fanatismo, di politica, e di regime”.
Nadia El Fani, filmaker tunisina di Laicitè Inshalla afferma: “I nostri sono islamisti intelligenti: hanno denaro, usano i social media e quindi raggiungono i giovani, per questo sono pericolosi e pervasivi. I fondamentalisti non vogliono la democrazia, e dobbiamo sapere che queste persone usano la democrazia per costruire la teocrazia. Dite ai giovani che possono credere nel paradiso, ma che è una menzogna se sulla terra c’è un mondo ineguale e ingiusto, come quello che chi crede nel paradiso realizza brandendo dio”. Tutti i video della Conference al sito http://www.secularconference.com/videos/
Lascia un Commento