Martedi, 23/03/2010 - Nel mio vagabondare tra riviste e giornali, mi è capitato di leggere due definizioni di femminismo.
La prima è una dichiarazione femminista della scrittrice - per altro brava - Valeria Parrella (Lo spazio bianco, da cui il film con la Buy) sul mensile (fatto molto bene) Liberetà: “La donna televisiva non è una donna comune. Le veline e tutto il resto non rappresentano altro che loro stesse, anche se vogliono farci credere il contrario. Non esistono davvero donne così: siamo più intelligenti. E chi si sveglia al mattino alle sei, accompagna il figlio al nido poi va a farsi sette ore di fabbrica per settecento euro al mese non può e non vuole riconoscersi in quelle persone.”
L’altra la traggo da TIME Magazine (Jan 18, 2010), rubrica Verbatim, in cui una certa Nicole LaPorte parla di un programma su MTV (Jersey Shore) e ne rivela il latente femminismo (esatto: femminismo!) perché in quel reality le donne rivoluzionarie e progressiste parlano come camionisti, si azzuffano come boxeur, sono ‘lampadate’ fino allo smostramento, rifiutano di cucinare e bighellonano in calzerotti e tute.
Io ho capito una cosa sola: qualunque forma di scostamento di una donna dal tranquillizzante stereotipo mediatico (Mulino Bianco o letteronze) viene etichettata come femminismo. Femminismo viene considerata una brutta parola di questi tempi, puzza di estremismo e di fallimentare.
Purtroppo, nel concetto di femminismo vengono inserite le cose serie ed importanti come pure quelle esecrabili. Per cui, niente donne alla Jersey Shore, ma neanche le mamme-lavoratrici della Perrella.
Ogni famiglia infelice lo è a modo suo, diceva Tolstoj.
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