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FEMMINICIDIO / Un passo avanti per le donne: in che direzione?

FEMMINICIDIO / Un passo avanti per le donne: in che direzione?

La legge contro il femminicidio e le donne: ciò che dobbiamo dirci

Martedi, 22/10/2013 - Il decreto anti – Femminicidio è legge. Promessa mantenuta! Direbbe Enrico Letta.



Con grande solerzia, il governo ha condotto a buon fine il percorso del Dl antifemminicidio. Un pacchetto sicurezza sulla violenza contro le donne benché gli articoli strettamente correlati siano 5 su 11, il resto è di tutt’altro segno come già sapevamo. Ma le sorprese ci hanno tenuto “col fiato sospeso” fino alla fine. All’ultimo minuto, senza alcun preavviso, è stato inserito un altro articolo riguardante la Non Riforma delle Province, ancora una volta rinviata.



La Viceministra del Lavoro, Maria Cecilia Guerra, ha affermato la legittimità di tutti i passaggi fatti con la vittoria delle donne e della loro tutela. Cecilia Guerra, con delega alle Pari Opportunità, ha ringraziato per i numerosi e preziosi emendamenti che hanno in parte integrato il decreto, a suo dire. A dire invece delle giuriste, giornaliste, associazioni e altre realtà, che hanno criticato sin dall’inizio il Dl proponendone modifiche sostanziali, non è propriamente così. Non in mio nome è l’appello che in questi giorni gira su internet in contrasto alla Legge antifemminicidio (cfr. Luisa Betti, Femminismo, la sfida giovane, 8/10/13).



La vivacità del dibattito a sostegno del Dl da parte delle parlamentari, è stata la cifra della linea politica decisa dal governo compatto e irremovibile. La Viceministra ha garantito un portafoglio di 10milioni di euro per quest’anno (2013 o 2014?), e di 7milioni per il prossimo, da destinare ai centri antiviolenza. La questione delle risorse è ancora da chiarire bene perché la provenienza è sconosciuta così come la logica di distribuzione, e i vari strumenti da adottare, giacche i dati in merito a tutto ciò che concerne questi ambiti sono disorganici. “Un passo avanti per le donne”, è stato invece lo slogan delle donne politiche, Deputate e non, favorevoli alla Legge così fatta e votata dal Pd, Pdl e Scelta Civica. Brunetta c’ha tenuto ad affermare che il Dl è Legge grazie ad Alfano, quindi è una mossa tutta governo e non soltanto un pezzo può dirsi vincente e soddisfatta. Insomma, qui le promesse le mantengono tutti. Una garanzia!



Alcune critiche hanno riguardato anche la celerità di tutti i passaggi su una materia così complessa e delicata come è la violenza sulle donne. L’accusa da parte delle associazioni attiene alle modalità esclusive nei loro confronti dopo un primo avvio di dialogo con Josefa Idem, la ex Ministra per le Pari Opportunità, dimessasi dopo la denuncia per l’Imu non pagata su una palestra. Una circostanza che ha interrotto il percorso della ministra di cooperazione concreta e continua con operatori e operatrici del settore. Tuttavia, l’Imu non pagata ha prevalso, anche grazie all’incalzante opera dei mass media, al contrario di quanto avvenga nel caso di Berlusconi. Ma in Italia l’etica ha molteplici sfaccettature, ha alcuni pesi e misure che stanno schiacciando la realtà su un piano di doppie uscite ed entrate nella legalità, nella vita pubblica. L’impatto sul versante privato è invece senza misura ormai, il peso delle contraddizioni sociali dà i frutti della fragilità individuale e del senso d’inadeguatezza rispetto alle prospettive che si delineano all’orizzonte sempre più vicino.



Ecco, un Parlamento che si assume la responsabilità politica di prendere in carico ambiti preziosi come la violenza deve assolutamente saperne l’entità e l’essenza, deve sapere la dislocazione contestuale dei fatti, dove e perché, chi e quando, non deve esimersi dal coinvolgimento attivo dei soggetti impegnati, non deve ripiegare su visioni corte e corporative. Deve agire in nostro nome, non in nome del governo sovrano.



Un’altra occasione mancata, non soltanto dal punto di vista istituzionale e politico, ma soprattutto culturale. Non a caso le critiche hanno richiamato l’attenzione sulla necessità di politiche di prevenzione e di formazione degli addetti ai lavori e non, nelle scuole, sui luoghi di lavoro, ovunque si possa divulgare una cultura di genere e sociale altra dal cinismo che invece è la consuetudine. Una necessità che mette al centro la libertà della persona, le donne, le identità di generi, la violenza e i suoi meandri psicologici, la relazione, l’amore, l’identità sessuale, la sessualità, le emozioni, la nostra soggettività e il rapporto con l’esterno. E rifiuta la scelta unilaterale dell’urgenza della pena, della denuncia, dell’azione “irrevocabile” della macchina dello stato senza che la donna decida di esserne la “mandante unica e riconosciuta”.



Se osserviamo i dati degli ultimi 20 anni, le donne sono cresciute nella loro formazione, nella loro ambizione, nella loro capacità di costruire modelli aggregativi alternativi e condivisi (l’esperienza di W.i.n. la società delle storiche, le case delle donne, e molte altre), nella loro autonomia mentale e fisica, nella loro visibilità. Un processo contestuale alla risalita del modello maschilista acuito dall’uso pubblico di questo archetipo diffuso e osannato dalla televisione e dalle istituzioni. Due modelli di identità di genere opposti, conflittuali, inevitabilmente divergenti e paralleli, estremi perché inconciliabili sia nel pubblico che nel privato.



L’occasione mancata dalla sinistra (dirigente e non) sta qui nella mancata volontà, prima che nella capacità, di tessere un’altra politica insieme con le fasce sociali afferenti e interessate a costruire un paese diverso dalla imperante corruzione del berlusconiana. Una politica che mettesse in rilievo i cambiamenti di genere che avvenivano e che ne desse una lettura innovativa rispetto agli stereotipi predominanti, definendo i riferimenti materiali e formali di un processo di crescente cittadinanza delle differenze sociali e di genere, sessuali ed etniche.



Forse l’occasione è mancata già da tempo e oggi ne raccogliamo i doni amari.



Lo vediamo con la 194 e la sua inapplicabilità. Una scelta individuale di obiezione di coscienza, additata dall’Europa come anomala, che costituisce fino in fondo un frammento essenziale di questa strutturale resistenza politica, culturale ed economica al cambiamento e al rispetto delle regole. L’esperienza della 194 dovrebbe risvegliare qualcosa fra di noi, qualcosa che attiene alla falsa credenza della neutralità di genere delle leggi, ci dovrebbe quantomeno insospettire l’uso ambivalente delle leggi riguardanti le donne, la doppia azione di teoria e pratica delle regole definite e delegate alla discrezione del singolo e della sua personale morale, anche quando illegale. La chiave di svolta per la ripresa dello spazio pubblico che ci spetta sta nella unità di queste battaglie, tutte comprese dentro una dinamica di reazione molto forte alla libertà delle donne e al loro affrancamento da paradigmi retrivi e anacronistici. Lo spezzettamento del corpo delle donne in frammenti legislativi, e la delega allo stato della sua persona in nome della sua “difesa”, ci porterà alla rimozione del segno progressista dei diritti sociale e individuali conquistati lungo tutto il ‘900.



Responsabilità anche delle donne? In parte credo di sì. E’ da anni che più voci hanno messo in guardia sulle gravi disuguaglianze di genere nel lavoro, nella famiglia, nel welfare, nella crisi attuale. Eppure, anche un pezzo delle donne, della politica e dell’associazionismo, non ha ritenuto dirimente cogliere queste richieste d’aiuto materiale e culturale, almeno non tutte. Una frattura complessa e complicata da recuperare, andrà ricreata ma il come è in fieri. Ma queste sono previsioni, al contrario, la Legge c’è.

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