Violenze - Conviene partire dai dati positivi: di violenza subita dalle donne si ri-parla ....
Bartolini Tiziana Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2006
Conviene partire dai dati positivi: di violenza subita dalle donne si ri-parla; sono non episodici e significativi i segnali di ripresa di azione e parola pubblica da parte delle donne sull'argomento. Anche gli uomini, pochi, cominciano ad sentirsi parte in causa e a chiedersi se e cosa fare. Come scrive Patrizia Romito, sempre per valorizzare quanto di positivo abbiamo nello scenario odierno, "la ragione ci dice che la consapevolezza dei diritti delle donne e dei bambini è ormai planetaria e che da questa consapevolezza, patrimonio di molte donne e di non pochi uomini, non si torna più indietro." Molto si è fatto ma moltissimo c'è da fare, e anche da ri-fare, affinché le violenze di genere siano largamente percepite nella corretta dimensione, cioè la manifestazione più esplicita della cultura patriarcale ancora dominante a livello planetario. Articoli, convegni, seminari, petizioni sul tema delle violenze alle donne si stanno moltiplicando, in questo numero 'noidonne' ne riporta per il momento parziale cronaca, e tutto fa pensare che siamo all'inizio di un nuovo fermento destinato a prendere sempre più vigore.
Occorre lavorare ancora molto sull'informazione per far conoscere alle donne i loro diritti e consentire loro di prendere coscienza delle violenze che stanno subendo ed è molto importante anche ripercorrere il lungo e faticoso cammino compiuto per la conquista di leggi che tutelino le vittime e ne rispettino pienamente la dignità. In questo senso i centri antiviolenza, gestiti con una generosità e tenacia tanto misconosciuta quanto nobile, si caratterizzano come dei veri e propri avamposti che tutto conoscono del peggio che si muove nelle viscere della società, quel peggio che la società preferisce rimuovere. Tranne che poi, quando la cronaca impone la sua distorta informazione aggettivando variamente lo stupro (notturno, etnico, di gruppo, tra minori, in discoteca, lesbico ecc) oppure descrivendo come causato da usanze tribali un barbaro omicidio, la società è costretta a prendere atto che la violenza di genere non si può archiviare nel calderone generale della sicurezza, così come non abbiamo potuto accettare come rispetto di una legge del clan di appartenenza l'omicidio di Hina. La società multietnica, proponendoci nuove categorie e pretesti scatenanti per le violenze, ha impresso un'accelerazione e richiamato una più larga attenzione sollecitando al tempo stesso le donne ad intensificare il dialogo con le immigrate. Le donne non hanno mai smesso di occuparsi delle violenze – molte lo hanno ricordato a chi questa estate ci ha accusate di non scagliarci contro i barbari omicidi che hanno fatto da corollario ai venti di guerra – e tanto non sono state con le mani in mano che, continuando l'elaborazione teorica di decenni, hanno anche coniato un termine per definire l'uccisione di una donna: FEMMINICIDIO. Dietro e dentro questa parola c'è un mondo e c'è una dimensione culturale alternativa a quella dominante e prevaricante. Se la matrice della violenza degli uomini sulle donne è culturale e universale, è su questo piano che dobbiamo intervenire anche utilizzando gli strumenti che la società mediatica offre. Con un termine, femminicidio - nuovo e corto e fulminante - le donne possono essere dirompenti non chiedendo, ma imponendone l'uso al mondo dell'informazione. Non è uno slogan – ma ne potrebbe avere la potenza – perché è troppo densa la valenza simbolica della parola e nella richiesta sarebbero già implicite le relative rivendicazioni.
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