- Il 2012 si è chiuso con 135 donne uccise e un numero imprecisato di tentati assassini
Tola Vittoria Domenica, 03/03/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2013
Il 2012 si è chiuso con 135 donne uccise e un numero imprecisato di tentati assassini . Non sappiamo quanti siano gli stupri e le violenze in famiglia denunciate o dissuase dal farlo. È una stima fatta dalle associazioni delle donne che a loro volta l’hanno ricavata dai fatti di cronaca dei media. Continuano a mancare dati ufficiali perché il governo non ha fatto nulla in questo senso. Come non ha aperto la discussione sulla verifica radicale del Piano nazionale antiviolenza gestito dal DPO come la Convenzione No More, di cui l’UDI è prima firmataria insieme ad associazioni importanti, ha chiesto inutilmente. L’anno 2013 è cominciato con la solita sequela di donne assassinate o stuprate. L’unica reazione è stata quella delle comunità locali, vedi il caso di Bergamo, e solo perché il presunto stupratore era un immigrato. Dalla sentenza scioccante su Parolisi e il raptus che lo avrebbe colto per colpa della moglie Melania all’uomo che ha dato fuoco alla moglie a Napoli ugualmente colto da un raptus,il femminicidio nei mass media è tornato a essere fatto privato anche se sensazionale. Delle dichiarazioni e buone intenzioni espresse da politici e mass media intorno al 25 novembre sono rimaste tracce labili. E di come affrontare e contrastare la violenza alle donne non c’è stata parola in una campagna elettorale tutta giocata da volti e voci maschili. La presenza e il valore di molte candidature femminili non ha rappresentato un antidoto. Nonostante il clamore e lo scandalo suscitato all’inizio dell’anno da Don Corsi che attribuisce alle donne la responsabilità del femminicidio perché provocano con abbigliamento e mancanza di rispetto dei ruoli familiari tradizionali. Il problema politico è stato evidente di fronte alle grandi manifestazioni dell’india dove donne e uomini si sono trovati uniti a chiedere al governo indiano azioni e leggi più incisive a bloccare questa mattanza quotidiana. Ma ciò che vale per l’India non sembra valere per l’Italia. L’annuncio del governo Monti che il 21 dicembre ha varato un disegno di legge per la ratifica della Convenzione di Istanbul,ha indotto moltie a credere che almeno sul piano legislativo la questione fosse stata affrontata e risolta. La sottolineatura su questo atto fatta dal Presidente della Repubblica nel discorso di fine anno ha contribuito a rafforzare questa sensazione. In realtà il ddl decade con la legislatura e in ogni caso essendo un testo di pochi articoli che fa una ratifica “secca”, al di là del dato simbolico, non serve a niente in quanto anche se fosse ripresentato e approvato dal Parlamento per avere qualche efficacia ha bisogno di molti ulteriori atti normativi. Neanche il Presidente Monti ha nascosto che nel suo governo c’erano voci contro perché la “violenza di genere” della Convenzione di Istanbul e le diverse fattispecie considerate aprono problemi sulla questione della violenza in famiglia che sulla violenza omofoba. Quindi, come dicono molte esperte del diritto, servirebbe una ratifica “vestita” che presuppone una valutazione attenta di ciò che la nostra legislazione prevede e integra ciò che manca. E soprattutto sarebbe necessario che al dibattito legislativo il nuovo governo affianchi e definisca le politiche necessarie a contrastare e prevenire il femminicidio come la Convenzione No More ha proposto e ribadito nell’incontro a Roma il 9 febbraio in cui ha chiesto alle donne e agli uomini che l’hanno sottoscritta un patto pubblico a procedere nel prossimo Parlamento con una forte interlocuzione con la Convenzione. Come sta avvenendo in molte realtà locali, dove le associazioni delle donne e gli amministratori pubblici stanno definendo luoghi di confronto permanente e politiche concrete per affrontare il problema. E provare veramente a contenerlo se non a risolverlo. Come No MORE propone e come la mobilitazione di ONE BILLION RISING ha chiesto il 14 febbraio .
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