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Femminicidio, la violenza letta dalle donne

Femminicidio, la violenza letta dalle donne

Libri - "La violenza (fisica, psicologica, economica, istituzionale) viene rivolta contro la donna «in quanto donna»"

Redazione Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2008

In un mondo dove il moltiplicarsi di fonti di informazione (maschili) rende tutto relativo, e dove la violenza fisica degli uomini sulle donne e sulle lesbiche è diventata una realtà solo quando “certificata” dai dati ufficiali (OMS, ISTAT), mentre le altre forme di violenza (psicologica, economica, istituzionale) ancora dall’opinione comune spesso non vengono riconosciute come tali, parlare di femminicidio può apparire la solita trovata mediatica sensazionalistica, come se le femministe all’improvviso, per dare visibilità ad un problema nascosto, quello della violenza maschile sulle donne e sulle lesbiche, si fossero inventate una parola che, con la sua radice, “-cidio”, fa impressione e rimanda alle stragi genocide, a quelle malvagità senza freni che è più facile azionare contro chi non si considera “un pari”. Ma non è così. Femminicidio è una parola ormai sulla bocca di tante di noi, che, pur se adottata in Italia “per assonanza” e di rimando ai fatti di Ciudad Juarez, porta con sé una storia di azione, teorizzazione e normazione sessuata che segna il femminismo degli ultimi venti anni. Non uno slogan dunque, ma un neologismo dietro al quale si cela un intreccio, pressoché sconosciuto in Italia, di vite, lotte, speranze, di alleanza tra femministe attive nei movimenti, in politica, accademiche, giuriste, tutte impegnate per una liberazione degli uomini e delle donne dagli schemi di pensiero e di vita patriarcali che rendono le relazioni tra i generi diseguali. La teorizzazione sul femminicidio ha visto il suo sviluppo negli Stati Uniti ed in America Latina, ma ha portato all’affermazione di un concetto valido universalmente, volto ad analizzare e nominare la realtà della violenza degli uomini sulle donne e lesbiche in chiave sessuata, al fine di infrangere quella barriera rappresentata dalle strategie di occultamento e normalizzazione della violenza degli uomini sulle donne poste in essere dai media e dalle Istituzioni (maschili), svelando –dati alla mano- che la violenza (fisica, psicologica, economica, istituzionale) viene rivolta contro la donna “in quanto donna”, perché non rispetta il ruolo sociale impostole, e dunque, per combatterla è necessaria una vera e propria “rivoluzione relazionale” che riconosca la donna come soggetto e che veda gli Stati impegnati per il concreto riconoscimento e rispetto dei diritti umani di donne e lesbiche, in particolare quello ad una vita libera da qualsiasi forma di violenza. Nel suo libro Barbara Spinelli (FEMMINICIDIO. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, ed Franco Angeli, pg 208, euro 18,00) ricostruisce la storia di questo termine e la propone alle lettrici italiane per andare oltre la cruda realtà di Juarez e mostrare come il femminicidio non rappresenta più solo una specificità centroamericana, ma ha assunto una valenza generale, uscendo dall’ambito importante, ma ristretto, della descrizione di un fenomeno locale per costruirsi come concetto politico, sociologico, criminologico, giuridico, di rilevanza interna e internazionale, che anche nel nostro Paese ci è utile per decostruire gli schemi patriarcali presenti in ogni ambito della vita, che ancora oggi impediscono la nostra piena autodeterminazione.

(11 giugno 2008)

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