Quando parlo o scrivo del problema del cognome della donna ai figli, del problema del cognome femminile da istituire come egual metà del cognome familiare della coppia, oltre che dei figli, qualcuno alza le spalle, qualcun altro ritiene - e in buona fede, il che è anche peggio - che questo sia un problema minore, di scarso peso rispetto alla disoccupazione, al crollo delle borse mondiali, all’aumento dei prezzi, al greggio che si riversa nei mari, a tutte le questioni di natura economica, ambientale e sociale che paralizzano il divenire in senso progressista del paese e lo scaraventano paurosamente all’indietro di anni.
Anni? Secoli, se si guarda a quel che accade nelle famiglie italiane e in quelle di tanti immigrati, se si osserva quel che accade in Italia come precipitato fetido e mortale di una cultura maschilista rampante che - su molti fronti in accordo con la Chiesa cattolica, benché non su tutti - denigra sistematicamente la donna, ne fa uso e abuso, la identifica come OGGETTO sessuale, o puramente riproduttivo, o di prestazione d’opera d’allevamento obbligata, posta al servizio del padrone di turno.
Quando dico e scrivo che bisogna fare ORA, perché d’importanza PRIMARIA, quella riforma, intendo espressamente riferirmi alla percezione - latente e dunque strisciante, o evidente e dunque dichiarata - della subalternità del soggetto femminile nell’ambito familiare, del suo esser vissuta dai più non come fonte di vita ma quale STRUMENTO di una vita che risiederebbe, per la nostra società degenerata, in una sorta di privilegio maschile che non trova alcun supporto nella genetica, né nel dato obiettivo e manifesto della gravidanza e del parto, che è un lavoro biologico esclusivamente femminile e mai maschile.
Quando dico e scrivo che bisogna fare ORA quella riforma, dichiaro espressamente che considero responsabili del femminicidio costante che ci opprime tutti coloro che volgono altrove lo sguardo, politici in primo luogo ma anche benpensanti che si annidano tra le persone cosiddette comuni, con cui abbiamo talora convergenze ma su altri fronti, su altre questioni, dato che a questa non prestano la dovuta attenzione. Eppure basterebbe ben poco per capirlo, basterebbe che se non tutti gli uomini almeno i padri riflettessero sul mondo sociale che offrono alle figlie, su ciò che può trasformare una ridente fanciulla, una bambina, una donna matura che ha diritto alla vita come le altre, in VITTIMA sacrificale di un’ideologia devastante.
Un cognome non è affatto qualcosa che viene stampigliato casualmente sulla “fedina” anagrafica del cittadino: è molto di più, è un segnale ben preciso e inquietante, il primo con cui il bambino apprende già in famiglia che fra il papà e la mamma c’è differenza, che l’uomo è colui che ti rende socialmente riconoscibile e non la donna, che questa dunque ha un ruolo meno significativo, che la connota come soggetto inferiore. Basterà poi vedere molti programmi televisivi vigenti, ascoltare le barzellette del premier o di altra gente che come lui si diletta ad offendere sistematicamente la dignità femminile, guardare i manifesti pubblicitari che ci ossessionano nelle vie cittadine e il gioco al massacro bestiale sarà fatto. Basterà poco - l’attraversamento di una fase adolescenziale difficile, l’esplodere di una crisi familiare e persino un futilissimo motivo - per scatenare la guerra all'oggetto-sempre-disponibile, all’intrusa per antonomasia, LA DONNA, quella di cui non si è mai portato il cognome, quella che non può darlo ai suoi figli dopo avere dato loro la vita, perché, a parere dei più, NON HA DIRITTO.
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