Martedi, 18/03/2014 - La tragedia quasi quotidiana che affligge il nostro Paese con femminicidi senza precedenti ci parla di un’animalità delle più sfrenate. Dall'omicida deluso per l’avance rifiutata, al marito in preda a crisi abbandoniche, al compagno sotto effetto di stupefacenti e alcool, tutti uomini senza coscienza e rispetto della dignità di sé e dell’altra persona. Tutti che agiscono questa sorta d’istintualità selvaggia in presenza di bambini, figli, vittime anch’esse e spesso giustiziate alla stregua di scomodi testimoni. Una sequenza così incessante nella sua frequenza, che quasi si perde il senso dell’orrore del gesto, della tragicità dell’evento. “Amori” criminali, o comunque impulsi che nulla hanno più in comune con il senso della vita umana. La brutalità della vita sembra quasi consumarsi nell’angoscia stessa del viverla. E’ un po’ come se l’essere umano, al di là del possesso oggettuale, non fosse più in grado di riconoscersi come vivente o come persona senziente, pensante e in grado di agire secondo dei valori. In fondo non c’è un’enorme differenza tra il degrado che colpisce certi gesti criminali da quello che accompagna la quotidianità caratterizzante la vita insulsa di certi quartieri cittadini o angoli di mondo dove si negano i basilari diritti umani. Una vita che ha perso l’essenza stessa del vivente e che si trascina in azioni che procurano morte in altri modi, forse anche più subdoli dell’esplicito omicidio. Intere famiglie sopravvivono con mestieri inqualificabili, eppure molti sanno e restano indifferenti, per non parlare dell’assuefazione agli orrori perpetuati sui bambini e sui civili durante le invasioni o le guerre. L’animo umano, la coscienza, sono alterate non solo da sostanze ormai socialmente molto pericolose, siano esse illegali o meno, ma dall’indifferenza di un appiattimento continuo, senza sosta dei valori umani. Ormai è accertato che l’uso di cocaina, ad esempio, porti a un’alterazione organica del cervello, quindi anche delle sue funzioni. E’ nella compulsività della dipendenza di qualsiasi sostanza l’inizio dell’alterazione del Sé, fino a patologie socialmente preoccupanti, come la schizofrenia, anche per l’uso prolungato e precoce di droghe cosiddette “leggere”.
Forse nel femminicidio l’indignazione stenta quasi a collocarsi al suo giusto posto, per la difficoltà di riconoscere i veri colpevoli. Al di là del maschio femminicida c’è un’organizzazione di sistema che sta togliendo l’anima agli stessi esseri umani.
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