- La costituzione di parte civile dell’UDI di Bologna nel processo penale per il femminicidio di Silvia Caramazza: un lungo percorso di femminismo
Rossella Mariuz Venerdi, 27/02/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2015
L'uccisione di donne di tutte le età e di tutti i ceti sociali è un fenomeno affatto marginale, che impegna analisi e riflessioni da parte delle associazioni femministe che si interrogano su quali risposte devono essere date al temibile fenomeno sia a livello sociale che politico.
La costruzione di politiche adeguate ad arginare l'onda misogina cavalcata dal femminicidio si prospetta come strumento a lunga scadenza, e da qui la necessità di azioni importanti che confermino qui ed ora il portato della cultura di genere e respingano con fermezza le istanze patriarcali e discriminatorie produttive di diseguaglianza tra i sessi e, in definitiva, responsabili anche del fenomeno della violenza e della negazione dei diritti di cittadinanza alle donne.
Una di queste azioni importanti, a Bologna, l'ha messa in campo l'UDI con il Gruppo Giustizia UDI Bologna al fine di sostenere la cultura di genere e l'affermazione di tutti i diritti di cittadinanza delle donne nel processo a Giulio Caria, responsabile dell'efferata uccisione e del successivo occultamento del cadavere in un freezer della convivente Silvia Caramazza, dopo averla sottoposta per anni a vere e proprie azioni di stalking, reato altresì contestato nel capo d'imputazione insieme all'omicidio e all'aggravante di aver agito con crudeltà.
In vista del processo iniziato il 9 giugno 2014, un mese prima (5 maggio 2014) l’assemblea UDI ha deliberato la costituzione di parte civile nel processo contro l’imputato di femminicidio ed ha disposto a tale fine una saliente modifica del proprio statuto.
In data 5.6.2014 il GUP del Tribunale di Bologna, sulla base della previsione statutaria dell’art.4 lett. 2 f) e sulla base di concrete azioni politiche di radicamento territoriale dell'associazione, ha ammesso la costituzione di parte civile dell’UDI di Bologna riconoscendola portatrice di un diritto soggettivo e di aver patito un danno diretto ed immediato dal femminicidio di Silvia Caramazza.
Molto importante è sottolineare che la legittimazione attiva a costituirsi parte civile nel processo per femminicidio è stata riconosciuta dal GUP del Tribunale all'UDI di Bologna grazie alla pratica politica dell'associazione, documentata agli atti del processo al momento della costituzione di parte civile, forte di parecchi decenni di presenza sul territorio contro le discriminazioni e contro la violenza di genere, che si è consolidata tra partecipazione pubblica al lavoro sinergico con istituzioni cittadine e con le altre associazioni femministe, e con la gestione su tutto il territorio metropolitano di sportelli di accoglienza, assistenza legale-informativa e messa in rete con agenzie e servizi sociali locali, un lavoro fatto di impegno politico e risorse proprie. L’effettività dell’ impegno sostanziale e del lavoro svolto in favore di una moltitudine di donne ha qualificato la soggettività politica di UDI di Bologna, concretizzandolo in una determinata realtà storico-geografica, ponendo come scopo principale del sodalizio dell'associazione Udi di Bologna sia nello statuto che nella pratica politica il contrasto alla violenza di genere e al femminicidio. Nel processo sono stati introdotti i contenuti del lavoro del progetto “stalking stop“ elaborati dall''esperienza delle operatrici in ambito legale e psicologico, che hanno contribuito a mettere in luce il profilo personale dell'imputato, i suoi scopi e il portato delle sue azioni criminose, il tutto introdotto tecnicamente attraverso le regole processuali penalistiche. La sentenza di condanna redatta sulla base del rito abbreviato ha inflitto a Giulio Caria 30 anni di reclusione, oltre alle sanzioni accessorie, un risultato comunque soddisfacente.
Rossella Mariuz è avvocata del Gruppo Giustizia, UDI Bologna
TUTTO È INIZIATO NEGLI ANNI ’70…
La “pratica politica del processo penale” che sottende la costituzione di parte civile delle associazioni femministe non è nuova al movimento delle donne, e nasce nella seconda metà degli anni settanta facendo cassa di risonanza al delitto del Circeo, dove gli aggressori stuprano e uccidono Rosaria Lopez e stuprano Donatella Colasanti. In questa prima fase il movimento femminista elabora una costruzione concettuale del problema della violenza contro le donne puntando sul significato simbolico della legge penale, attuando la “pratica politica del processo penale” al fine di raggiungere alcuni obiettivi tra i quali il passaggio dello stupro da evento privato a fatto politico, la messa in discussione della cultura dominante sia sociale che giuridica che trasforma le donne da parti offese a imputate in virtù della conservazione di stereotipi sociali oppressivi e inaccettabili. (…) Nel decennio successivo una forte critica del movimento femminista porta al disuso della pratica del processo penale in virtù delle contraddizioni dell’uso politico dello strumento, semplificativo e riduttivo del fenomeno della violenza, strumento che relega le donne allo stereotipo della vittimizzazione. (…) Dall’esigenza di sviluppare elaborazioni e strategie politiche del pensiero sulla differenza sessuale nascono i Centri Antiviolenza con la pratica innovativa della relazione tra donne. Tale pratica sposta il piano simbolico dalla repressione del reato e punizione del colpevole al piano della progettualità femminile per il riconoscimento della differenza come soggettività sessuata, e presupposto della libertà delle donne per riprogettarsi e liberarsi dalla violenza. (…) La strategia processuale viene interpretata come strumento per produrre risorse per le donne, attraverso la relazione donna-avvocata diretta a far crescere consapevolezza e autonomia. (…) Il contesto attuale è caratterizzato da una assunzione complessa del problema della violenza di genere nelle varie componenti, quella sociale, sanitaria, educativa, di politica criminale e legislativa formata dalle molteplici componenti che vengono trattate dalle agenzie-soggetti di riferimento. Le associazioni femministe “ fanno rete “, i centri antiviolenza “ fanno coordinamento nazionale”(…).. Versione integrale qui.
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